«Le moschee? Vanno controllate»

«Viviamo in un momento difficile, dobbiamo accettare di essere sotto esame»

Di padre iraniano e madre italiana, con un eccellente curriculum di studi che passa per la Bocconi di Milano, oggi Farian Sabahi, giornalista e scrittrice, è una delle voci più autorevoli sul delicato rapporto tra Islam e Occidente. Il suo ultimo libro, Un’estate a Teheran (Laterza), è un vivace reportage frutto dei suoi viaggi in Iran nell’estate e nell’autunno del 2006. Intervistiamo Farian Sabahi in attesa di vedere, anche qui a Milano allo spazio Oberdan, la sua ultima fatica: il documentario «Minareto 1000 punti. Un viaggio nell’Islam che c’è già» realizzato con Edoardo Camurri e ideato e diretto dal regista Pietro Raschillà e dedicato alla futura moschea di Colle Val d’Elsa.
Partiamo proprio dal titolo del documentario: com’è, in Italia, «L’Islam che c’è già»?
«Ricco (culturalmente e di esperienze diverse), impaziente (di integrarsi e vivere meglio) e sospettoso (e quindi con il rischio di arroccarsi)».
Città come Torino, dove vive, o Milano, dove spesso lavora, come stanno reagendo alla presenza islamica?
«Viviamo nel politicamente corretto: la gente cerca di non lasciarsi andare a opinioni negative, ma vive male la presenza islamica. Gli italiani si sentono a disagio e la stessa sensazione è diffusa tra tanti immigrati arrivati 40 anni fa, laureati, con una buona posizione sociale e ormai naturalizzati».
Perché?
«Molti rifiutano l’Islam tout-court, anche come reazione a quello che leggono sui giornali e vedono in televisione. Ma non possiamo “rispedirli ai loro paesi” dove i regimi troppo spesso violano i diritti della persona: siamo obbligati a trovare un compromesso. Sostenere che Islam e democrazia non sono compatibili, come fa la somala-olandese Ayaan Hirsi Ali, è controproducente: rischiamo di fare il gioco degli integralisti islamici, che sposano la stessa tesi».
Quindi che cosa si può fare?
«I luoghi di culto devono essere controllati e i fondi che ricevono verificati. Siamo in un momento difficile e dobbiamo accettare, a costo di lacerazioni politiche, i controlli necessari».
Quanto contano le sue radici per la scelta professionale che ha fatto?
«Contano. Mi sono laureata in Economia e ho trovato lavoro in una banca d’affari americana. Nel frattempo mi sono iscritta a un corso di laurea in Storia orientale poi, casualmente, ho conosciuto Armando Torno, allora caporedattore al domenicale del Sole-24 ore, che mi ha offerto una collaborazione sui temi dell’Islam».
Nel suo ultimo libro, ha intervistato molti iraniani: qual è stata la loro reazione?
«Le persone intervistate sono molto diverse tra loro: dissidenti del clero sciita, donne che praticano kick-boxing, registi, omosessuali, italiani e armeni che vivono a Teheran da anni.

Sono stati tutti molto disponibili perché sentono l’esigenza di dare un’immagine diversa dell’Iran rispetto a quella che passa sui media occidentali. L’Iran sarà anche un “Paese canaglia”, ma gli iraniani sono la popolazione più filo occidentale della regione».
francesca.ame@tin.it

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