Politica

Mossa choc di Londra: nazionalizzate 8 banche

Abbey, Standard e il gigante Hsbc: «No, grazie». E l’intervento non evita un’altra giornata nera in Borsa

Considerando la gravità dell’annuncio e la sua enormità senza precedenti per sostanza e forma (conferenza stampa congiunta a Downing Street di prima mattina) Gordon Brown e Alastair Darling hanno meritato il premio self control dell’anno. Senza scomporsi sotto il fuoco delle domande dei giornalisti, Premier e ministro delle Finanze hanno annunciato la parziale nazionalizzazione di otto delle principali banche inglesi.
Le istituzioni britanniche scendono in campo con 50 miliardi di sterline (circa 64 miliardi di euro) da iniettare nel sistema finanziario per ricapitalizzare otto banche: Abbey, Barclays, Hbos, Hsbc, Lloyds Tsb, Nationwide Building Society, Royal Bank of Scotland e Standard Chartered. Inoltre il governo metterà a disposizione linee di credito per altri 250 miliardi di sterline e 200 la Banca d’Inghilterra (che ha anche tagliato il tasso di sconto di mezzo punto). A conti fatti fanno oltre 600 miliardi di euro. Per entità, ma non per modalità, è un intervento paragonabile al piano Paulson.
Non si tratta comunque di una mossa improvvisata, da parte del governo già costretto a salvare due grandi banche, Northern Rock e Bradford&Bingley. Da giorni il gabinetto Brown dialogava intensamente con i vertici degli istituti più esposti e già lunedì sera le voci circolavano. E, infatti, tutte le banche citate da Brown hanno diffuso commenti positivi sul piano, anche se tre non aderiranno. Hsbc, la prima banca d’Europa, ha fatto sapere di poter ricapitalizzare con fondi propri, e così anche Standard Chartered, poco esposta alla crisi perché attiva soprattutto in Asia. Resta alla finestra anche Abbey, alle cui spalle c’è la casa madre spagnola, Santander. Del resto, Brown ha chiarito (anche per dare un contentino ai contribuenti che pagheranno l’intervento): «Era necessario muoversi in modo straordinario di fronte a condizioni straordinarie del mercato, che ha smesso di funzionare. Ma questo denaro è legato a dei fili». I fili che, portando lo Stato nell’azionariato, dovranno servire a condizionare d’ora in avanti le mosse delle banche. La prima a pagare il conto potrebbe essere Royal Bank of Scotland: imposto un cambio dei vertici.
Il Regno che non conosceva invasioni da mille anni tenta così di arginare il contagio del crac finanziario. Il governo, mentre già piovevano accuse di immobilismo, non poteva più aspettare i tempi lunghi di Bruxelles, anche se il premier ha invitato «gli altri Paesi dell’Ue ad adottare un piano europeo di finanziamento» e Darling ha annunciato che proporrà una riforma delle regole del sistema finanziario al G7 di Venerdì. L’annuncio è stato dato prima dell’apertura delle Borse, per tentare di prevenire un’altra giornata di sangue nella City. Ma l’intento è stato centrato solo molto parzialmente. L’Ftse-100, il principale indice della Borsa di Londra, si è fermato ieri pomeriggio con un rosso pesante: -5,54 per cento. Tra i titoli bancari coinvolti solo Hbos e Royal Bank of Scotland hanno fatto segnare rialzi. Per le altre banche i cali sono stati comunque contenuti e a trascinare a fondo l’indice borsistico sono stati altri comparti, tra cui i petroliferi, a dimostrazione che ormai le dinamiche della crisi si sono ingarbugliate.
Alcune delle banche da salvare, appena pochi mesi fa ingoiavano prede del calibro di Abn Amro. Basterà l’intervento di ieri a evitare altri crack? Lo sforzo del grigio Brown di mostrare ottimismo in un solo momento ieri è apparso davvero penoso. Quando gli hanno chiesto: «A che punto della crisi siamo arrivati?». Brown ha esitato.

E poi, in un sussurro: «È ancora lunga».

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