Controcultura

La mostruosa (e umana) abilità dei robot

Protesi di braccio per robot alla mostra Robots a Londra
Protesi di braccio per robot alla mostra Robots a Londra

da Londra

Non più sinonimo di «futuro» la tecnologia dei robot ormai ci circonda ad ampio raggio, suscitando nei suoi confronti atteggiamenti ambivalenti se non proprio di rifiuto. Da una parte ci fanno piacere le macchine che lavorano per noi, dall'altro temiamo che possano prendere il sopravvento. Ma nella sua complessità il robot è pur sempre un mostro che affascina e seduce e il Science museum di Londra, grazie a prestiti da tutto il mondo, ne presenta una rassegna lungo cinque secoli di evoluzione tecnologica, dagli astrolabi alla robotica umanoide e sociale, con accenni alle ultime più inquietanti ricerche.

«Robots» è una mostra-evento che rimarrà aperta tutto l'anno (fino al 3 settembre a Londra, poi a Manchester ed Edimburgo), una rassegna con un approccio oggettivo e filosofico che invita alla riflessione, come spiega il curatore Ben Russell, incentrata non tanto sul funzionamento dei robot, quanto sui nostri sogni e le nostre paure e sui perché della nostra ambizione a creare macchine che ci somigliano. Apre la mostra un «neonato animatronico» appeso a una parete circolare di luci pulsanti, che ripete una serie di animazioni programmate agitando le braccia e le gambe e facendo smorfie, così realistico da sconcertare. Poi in cinque grandi sale intitolate a epoche e temi diversi la rassegna presenta oltre un centinaio di macchine. Risale al XVI secolo con un frate meccanico alto quasi mezzo metro. È funzionante: prega e si batte il petto. Fu realizzato nel 1560 a Toledo per Filippo II di Spagna. Dello stesso periodo, e probabilmente italiano, il manichino in ferro che illustra le articolazioni del corpo umano. Dal '500 al '700 il mistero del corpo umano visto come una macchina avvia la creazione diffusa di una serie di protesi e arti artificiali, che successivamente culmineranno in vere opere d'arte in acciaio e ottone.

Straordinario e ipnotico è il cigno d'argento del 1773, unico nel suo genere, un grande oggetto rococò dotato di meccanismo a orologeria capace di sciogliersi in tutti i movimenti del cigno. Ma è con il XX secolo che esplode l'interesse per la robotica vera e propria. I robot cominciano a essere radiocomandati. La sala intitolata al «Sogno» ne presenta magnifici esemplari, realizzati fra gli anni '20 e '50 del Novecento. Domina la sala una splendida ricostruzione di Maria, l'eroina di Metropolis di Fritz Lang del 1927, uno dei primi robot del cinema. Corredata da vetrine ricche di manifesti e riferimenti ai robot nel cinema, la piattaforma circolare presenta una replica del primo robot inglese, Eric, del 1928, con accanto George, del 1949, uno dei primi umanoidi. E lì vicino c'è l'imponente Cygan italiano, alto ed elegante, un vero capolavoro di modellistica progettato da Piero Fiorito a Torino nel 1957: pesa 500 chili circa, è azionato da 13 motori elettrici, sa ballare, gesticolare e intrattenere il pubblico. Il ruolo dei robot nel cinema è esaltato dal T-800 Endoskeleton originale, uno dei robot ricorrenti nei film della serie Terminator, illuminato in ogni dettaglio e movimento in una vetrina.

Nell'ultima sala si vedono i primi robot che camminano, una ricostruzione della Tartaruga cibernetica (1995) capace di muoversi e orientarsi da sola e numerose forme meccaniche che si accendono di vita e possono interagire con altri robot. Zeno R25 riproduce l'espressione dei volti dei visitatori e Rosa, simile a un grande scheletro, muove la testa e segue i movimenti del pubblico con il suo unico occhio simile a una cinepresa. RoboThespian si cimenta in esercizi vocali e teatrali ogni venti minuti. Harry, creato dalla Honda, suona la tromba. Se molte di queste macchine sono state progettate per divertire, altre hanno obiettivi più nobili. Come il piccolo Kaspar, realizzato due anni fa dall'università inglese di Hertfordshire appositamente per interagire con i bambini autistici, svolgendo il ruolo di mediatore sociale.

Dopo una parata dei più recenti robot industriali che denotano grande abilità nell'uso delle braccia (fra cui l'americano Baxter del 2015 che è il primo robot con due arti superiori; il più piccolo Yumi, svizzero, realizzato nel 2015 e capace di montare dispositivi elettronici e medici; l'italiano Amico del 2016, le cui braccia flessibili sanno fare di tutto), questa carrellata si conclude con la sfida più grande: la comunicazione, il linguaggio, l'interpretazione dei gesti.

Riconoscere quaranta lingue, come fanno alcuni robot, non significa comprenderne i nessi con il pensiero e la realtà o tutte le necessarie sfumature dell'umano che forza computazionale o acume algoritmico difficilmente potranno riprodurre.

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