Incubi, alcol e depressione: il prezzo della fede nell'islam

Alcuni jihadisti dell'Isis si pentono e vogliono tornare alla vecchia vita. Ma cosa resta di umano in questi violenti che ammazzano decine di esseri umani? Sostieni il reportage

Incubi, alcol e depressione: il prezzo della fede nell'islam

Le immagini sono fortissime. Danno il voltastomaco. Fanno quasi male a guardarle sul computer o sul tablet, comodi in ufficio o nelle nostre case. Mentre loro, i sanguinari miliziani dello Stato islamico, le vivono in prima persona. Sono i boia del califfo nero Abu Bakr Al Baghdadi, i tagliagole dell'islam, i jihadisti che vogliono sgozzare, ammazzare, bruciare i cristiani, gli occidentali, gli infedeli. La loro fede è tutta nel Corano, nella parola del profeta Maometto. La loro forza è nel coltellaccio con cui decapitano gli ostaggi e nei mitra con cui seminano il terrore in Siria, Iraq e Libia. Ma cosa resta di umano in questi violenti che ammazzano decine di esseri umani? Loro che hanno sgozzato e visto sgozzare, hanno bruciato e visto bruciare i corpi di ostaggi indifesi hanno ancora un briciolo di umanità?

Alcuni si pentono. Altri vanno in esaurimento. Sono i reduci della jihad. A raccontarli è il Corriere della Sera entrando nelle vite da incubo segnate dall'alcol e dalla depressione. Dopo aver seminato il terrore, vivono nel terrore. "Ho visto bruciare vivi 128 uomini. Musulmani come me. Non ho capito perché dovessero morire. Li sogno tutte le notti. E l'unico modo per non pensarci è bere", racconta un reduce tunisino dello Stato islamico, Abu Hamza Ettounsi. Un reduce alcolizzato. Adesso la sua famiglia vive nel terrore di subite vendette dai miliziani che avrebbero fare di lui un martire. Invece Abu Hamza ha abiurato la causa di Al Baghdadi ed è andato in televisione, a volto coperto, a spiattellare tutti gli orrori perpretati dal Califfato. Ora se ne è tornato nell'ombra: la polizia gli impedisce di rilasciare altre interviste. "I soggetti come lui - spiega l'ex ministro dell'Interno Lotfi Ben Jedou - sono considerati una minaccia".

I pentiti della jihadI non sono molti. Secondo le stime dell governo tunisino, appena 570. La maggior parte di questi si troverebbe in prigione o nascosto tra Biserta e Kairouan. Non sono tutti tunisini, anche se la Tunisia resta il principale esportatore di jihadisti al mondo. Alcuni arrivano dal Marocco, altri dall'Algeria. I governi non sanno come gestirli perché sono una minaccia per il Paese che li ospita.

"All'inizio l'Isis mi ha fatto stare nelle sue guest house con internet, la televisione, tutti i comfort - ha raccontato ai giudici il marocchino Mohamed Saadouni - poi ho capito che non ero lì per combattere Assad: il mio nemico era l'Esercito di liberazione siriano. Avevo lasciato soli i miei figli per uccidere altri arabi. L'errore più grande della mia vita".

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