Dal Motorshow a Milano un anno di contestazioni

da Roma

«Libero fischio in libero Stato». Il copyright è di Sandro Pertini, impietoso financo verso se stesso quando fu contestato ai funerali delle vittime della strage di Bologna. D’altronde, se la manifestazione del dissenso è il «sale della democrazia», per dirla con Bertinotti, non ci si può meravigliare del profluvio di fischi nei confronti di Romano Prodi e del suo esecutivo.
Che La cavalcata delle valchirie non sarebbe stata la colonna sonora del governo dell’Unione lo si era ben compreso giovedì 19 ottobre alla messa di papa Benedetto XVI allo Stadio Bentegodi di Verona. «Vattene a casa» all’ingresso, «buuh» all’uscita conditi dai «Silvio, liberaci!» rivolti al leader della Cdl, anche lui presente alla celebrazione. «Una claque organizzata» si affrettò a far sapere lo staff prodiano colpevolizzando quel Veneto sempre troppo ostile alla causa del centrosinistra. L’Italia dello scorso autunno, scontenta di una Finanziaria che lievitava di ora in ora, per il Professore era «un Paese impazzito».
E gli italiani ricambiavano la scortesia. Come in quel di Crevalcore, provincia di Bologna. Il raddoppio della tratta ferroviaria fu il pretesto per una contestazione. «Torna a casa, buffone!», uno degli epiteti. I leghisti ricorsero a un manifesto: una foto del premier con la scritta «Wanted. Accusa: sterminio economico italiano».
Queste due avvisaglie, però, avevano una caratterizzazione politica di centrodestra. La doccia fredda era di là da arrivare. Si materializzò domenica 10 dicembre, sempre a Bologna. Con i sondaggi in discesa, «cosa c’è di meglio che infondere un po’ di ottimismo ai giovani del Motorshow per recuperare?» avrà pensato l’entourage del premier. Un coro di fischi e di «Mortadella» mai sentito prima, e soprattutto spontaneo e genuino. Un prodotto della «penosa situazione in cui si trova il Paese», scrisse Prodi sul Resto del Carlino; «L’espressione di un’antipatia istintiva a una politica infinitamente distante» gli rispose Edmondo Berselli dal pulpito non ostile di Repubblica.
Digerita (anzi, fatta digerire) la manovra di bilancio, la situazione non è migliorata. Quando Prodi ha provato a salire sopra il Po ha udito solo fischi. A Milano il 18 gennaio scorso la laurea honoris causa all’Università Cattolica gli è andata di traverso a causa della pesante contestazione di Azione Giovani che l’ha costretto a passare per le uscite secondarie. A Bergamo il 12 maggio il giuramento degli allievi della Guardia di finanza è stato drammatico: altri fischi persino nel breve tragitto dalla piazza al Comune.
Quello che è accaduto ieri a Trento rappresenta nel suo piccolo una novità. Il presidente del Consiglio ha avuto il suo primo vis-à-vis con la contestazione di sinistra. I «no-base» gli hanno esternato il loro disappunto per la gestione del caso Vicenza nonostante lo avessero votato con un chiaro mandato antimilitarista. I suoi colleghi dell’esecutivo erano stati meno fortunati. Il ministro Padoa-Schioppa a Torino il 17 gennaio a Torino si è beccato i petardi dei centri sociali.

Il presidente della Camera Bertinotti è stato messo sotto accusa prima dai collettivi universitari della Sapienza di Roma (26 marzo), mentre pure il vicepremier Rutelli alla Fiera del Libro di Torino è stato preso di mira dai sostenitori dei Dico per la sua adesione «virtuale» al Family Day. E se il malcontento è trasversale, la formula «libero fischio in libero Stato» vale ancor di più.

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