Mou e Domenech, due dilettanti ormai è Lippi il Mister simpatia

Ai tifosi dice: "Andate a lavorare", ai giornalisti: "Lavatevi le orecchie". Dopo gli ultimi fischi, ecco la verità sul ct malmostoso e finto gentleman. "I fischi con la Svezia? Se qualcuno se la sente di criticare il ct che gli ha portato un mondiale... Sono ferito, forse qualcosa si è rotto"

Mou e Domenech, due dilettanti ormai è Lippi 
il Mister simpatia

Però dobbiamo essere un po’ più giusti: se Mourinho e Domenech sono gli antipatici, qualcosa bisognerà pur dire di Lippi. Personalmente mi sento in colpa: ho aspettato anche troppo. Ma siccome non voglio arrivare fuori tempo massimo, sono qui idealmente avvolto nella mia maglia azzurra e nel mio glorioso tricolore per dire la cosa che andava detta molto tempo fa: non lo si regge più.
Ormai ad ogni ritrovo della nazionale la recita è la stessa. I giornalisti pongono qualche domanda: sì, anche su Cassano, siamo un po’ noiosi, ma in fondo questo dobbiamo fare. Il pubblico schernisce tra rabbia e sarcasmo: sì, come a Parma, perché ritrovarsi sullo 0-2 contro Cipro non può esaltare nessuno. In ogni caso, il cittì si ripresenta sempre allo stesso modo: finto gentleman, malmostoso vero. Con quelli di Parma è «incazzato come una bestia, che vadano a lavorare loro», con i cronisti è insolente («lei stamattina non si è lavato bene le orecchie»), con quelli di Cesena usa l’ironia acida: «Qualcuno se la sente di fischiare il cittì che ha portato un campionato del mondo. Faccia pure. Io cercherò solo di portargliene un secondo...». Tranquillo, in Sudafrica sarebbe il terzo: il secondo l’ha già vinto, quello della simpatia.
Ovviamente mi fermo ai raduni più recenti. Perché se proprio volessimo dirla tutta, non è che nemmeno all’epoca degli Europei di Donadoni il gentleman Marcello abbia brillato per amabilità e signorilità, trattando in penombra il suo ritorno con quell’altro modello di garbo del presidente Abete. Ma restiamo all’attualità: mai un commissario tecnico aveva raggiunto simili percentuali di gradimento. Forse siamo noi italiani ad avere gusti e abitudini particolari. Storicamente, al cittì dobbiamo voler bene come a un severo papà, o come a un simpatico zio. Mi basta fare qualche nome degli ultimi per spiegare quanto intendo dire: Bearzot (diavolo, come ci manca Bearzot...), lo stesso Vicini, Cesarone Maldini, ovviamente il carissimo Trap (l’altra sera non ha nemmeno dato una testata a Domenech, che gli ha sfilato la qualificazione giocando con le mani). Persino Sacchi, dobbiamo ammetterlo onestamente, per quanto contorto, fanatico, cocciuto, è riuscito a farsi in qualche modo voler bene.
Lippi aveva in mano un briscolone: la vittoria mondiale del 2006. Con quel trionfo, un altro si sarebbe ritrovato appeso con lo scotch in tutti i bar di paese, e persino in qualche caserma dei Cc al fianco di Napolitano. Lui no. Sta riuscendo nell’impresa - anzi ci è riuscito - di rendersi insopportabile. Più di Domenech, molto più di Mourinho. E stupisce che l’arma del suicidio sia proprio quel Mondiale berlinese. Lippi, nella sua minuscola autostima, considera il titolo mondiale come una specie di immunità parlamentare a tempo illimitato. Pensa d’essere per sempre al riparo da fastidi, polemiche, eccezioni, rilievi, domande, dissapori, non diciamo contestazioni. La gente non deve permettersi di fischiare lui e i suoi eroi, questo il concetto. La gente deve solo gratitudine, ammirazione, consenso. L’ideale sarebbe pura venerazione.
Faccia capire: un tizio compie un’opera una volta nella vita e da lì in poi vive di rendita? È così che funziona a casa sua? Ma dove sta scritto. In che libro. Come dicono sempre i bravi mister, nella vita come in campo, la vittoria va subito messa alle spalle e si ricomincia da capo. Tre anni dopo Berlino, Lippi dovrebbe svegliarsi dalla sbornia di Berlino. Potrebbe ridiscendere tra noi, su questa nuda terra, e accettare le antichissime regole del gioco: lui liberissimo di fare le scelte che vuole (anche ghettizzare Cassano, anche riarruolare il disertore Totti), ma gli altri liberissimi di porre domande scomode e persino di fischiare i campioni del mondo, caso mai queste leggende finissero sotto (0-2, e ribadisco 0-2) contro Cipro (e ribadisco Cipro). Figuriamoci: in Italia massacriamo Papi e presidenti del Consiglio, ministri e magistrati, Lippi non dovremmo sfiorarlo nemmeno con una rosa. Ma chi è, Padre Pio?
Ovviamente non sono nato ieri, so benissimo che anche i Bearzot e i Trapattoni reagivano come tori alle critiche (non ai fischi, comunque). Ma c’è modo e modo. Chissà perché, loro non avevano mai l’espressione dei padreterni permalosi, disposti ad accettare dal prossimo solo dosi smodate di adulazione. Con il lippismo, il risultato è sotto gli occhi della nazione e della nazionale: ovunque si giochi, partono i fischi.

Dice adesso lui, tra il sorpreso e il risentito: «Non è mai successo che un cittì vinca un Mondiale, se ne vada, e una volta tornato succeda questo. Sono ferito dai fischi. Non so se si è rotto il feeling tra me e l’ambiente...».
Se permette, mister simpatia, posso azzardare io una risposta: sì.

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