Il muezzin Ancelotti «Voglio dormire con quella coppa»

«Se perdo non mi cacciano. La formazione da Berlusconi? Sì, ma la voglio per iscritto. La strategìa? Semplice, dobbiamo stanarli»

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Franco Ordine

nostro inviato a Istanbul

Milanisti di tutta Italia (ri)unitevi: tocca a voi, questa sera. Le feste e i rimorsi per lo scudetto sventolato sotto il naso dalla Juventus possono ufficialmente essere riposti, forse non proprio rimossi. Tocca al Milan, allora, il club più europeo del calcio italiano, giocare la decima finale di coppa Campioni della sua carriera sulla scena, inedita, di una Istanbul invasa da trentacinquemila inglesi. È il suo primo deficit da colmare stasera nell’arena dell’Ataturk olimpic, il nuovo stadio, una mezza luna come copertura della tribuna principale, costruito nel deserto della sterminata periferia della capitale turca.
«Ci sentiamo molto bene e i canti dei muezzin non disturbano»: spigliato e di buon umore, come sempre quando gli capita di partecipare a un evento calcistico, Carlo Ancelotti per un giorno è lo specchio fedele degli umori più riservati del Milan. Basta osservarne i tratti rilassati, la battuta pronta specie quando gli chiedono se ha ricevuto consigli tattici da Berlusconi («eh ma non mi fido delle parole, voglio un foglio scritto» rintuzza con humor), per capire la condizione del suo nuovo Milan che si mette sulla stessa strada del suo maestro Arrigo Sacchi. «Per vincere dobbiamo giocare bene, senza fare calcoli, dobbiamo imporci, leali e corretti» snocciola a un certo punto l’ultimo condottiero dell’armata berlusconiana, tutto pane e culatello, la semplicità e l’umiltà fatte persona.
Prima di sedersi al tavolo della conferenza-stampa passa davanti alla coppa con le grandi orecchie, esposta in bella vista, con i due fiocchi ai lati, uno del Liverpool e l’altro del Milan, e le strizza l’occhio come si fa a una dama da concupire. «Mi fa un certo effetto vederla così e pensare che c’è stato chi, a Manchester, ha dormito con lei» rievoca la debolezza di Adriano Galliani dopo l’ultimo trionfo continentale.
Ecco allora lo specchio magico da interrogare; lo specchio Ancelotti. Specchio delle brame milaniste, come sta il vecchio, caro, paralitico Milan, per dirla con l’espressione cara a Fedele Confalonieri? «Stiamo bene, in dieci giorni, da Lecce in avanti, abbiamo recuperato energie preziose. Io non ho dubbi, l’unica incertezza è legata al risultato», informa ancora mastro Ancelotti. Tocca al Milan fare la partita e sfidare in campo aperto il Liverpool, sperimentare la tenuta del suo gruppo, ridimensionato da dieci mesi di battaglie, accomunate da un massimo comun denominatore, la facilità nel farsi strada in Europa, il tormento nel reggere il passo della Juve nel torneo domestico. È il suo unico nervo scoperto. Basta la parola scudetto, con l’aggettivo «perso» che punge nel fianco, per far arrivare la risposta stizzita, specie se insinuano che l’eventuale insuccesso qui a Istanbul potrebbe costargli il posto addirittura: «Scudetto perso? No, siamo arrivati secondi, non c’è ancora un premio per questo piazzamento ma un regalo alla squadra intendo farlo io. E non penso di finire licenziato perché penso che faremo bene».
Provano a stuzzicarlo, specie gli inglesi quando tirano fuori l’argomento Berlusconi con l’intento di metterlo all’angolo. Sullo specifico Ancelotti, accusato dopo Eindhoven dal suo presidente d’essere un po’ troppo difensivista, ha una teoria che espone pacato e sereno. Detta: «Il Milan ha sempre giocato con 3 o più attaccanti, basta chiedere qui a Maldini per avere conferma». E l’espressione vuol dire che con quel matto di Cafu, sempre all’assalto, «pizzicato» in fuorigioco tante volte, non gli si può certo dare del difensivista.
Come Ancelotti, anche il Milan è un libro aperto. Non c’è bisogno di sfogliare l’ultima pagina per conoscere il suo schieramento, con Crespo posizionato al fianco di Shevchenko, col colpo sempre in canna.

Due anni fa, a Manchester, dinanzi alla Juve di Lippi, il Milan e Ancelotti vacillarono per molti giorni. «C’erano più incognite» ammette Carletto prima di andare incontro al Liverpool e alla storia. È più sereno, più convinto. Ma non vuol dire che abbia la coppa in tasca.

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