Può essere che il nome di Lorenzo Odone oggi non dica nulla ai più. Ma basterà pronunciare quella formula che parve magica, miracolosa, salvifica - «l'olio di Lorenzo» - perché dal fondo della memoria riemerga un’epopea, una sorta di paradigma dell'amor filiale, che per anni commosse l'opinione pubblica di tutto il mondo. Un ragazzino che si ammala di un morbo rarissimo e i suoi genitori che non si arrendono e infine scovano, loro che medici non sono, una cura così efficace da regalare almeno quattro lustri di vita al loro sfortunato bambino che per la comunità scientifica internazionale «doveva» morire in capo a una manciatina di anni. Storia così intensa, così commovente, da diventare trama di un film («L'olio di Lorenzo», appunto) interpretato da Susan Sarandon e Nick Nolte.
Ieri, come un fulmine, la notizia che arriva dall'America. Lorenzo Odone è morto nella sua casa di Fairfax, in Virginia. Aveva trent’anni. A ucciderlo sono state tuttavia le conseguenze di una polmonite, e non quella rara malattia neurologica che certamente, inchiodandolo a letto, ne ha affrettato la fine. Più che quella di Lorenzo, questa è dunque la storia di due genitori coraggiosi, intelligenti e caparbi. Lui, Augusto Odone, è un economista della Banca mondiale. Lei, Michaela, è una linguista. Sono loro, dopo una ricerca matta e disperatissima, a trovare la soluzione per la terribile malattia di cui soffriva il figlio, la adrenoleucodistrofia. Un rimedio ancor oggi somministrato dai medici di tutto il mondo ai bambini colpiti da tale disfunzione.
La malattia di Lorenzo si manifestò nel 1983, al ritorno da un soggiorno alle isole Comore. Difficoltà di concentrazione, calo della vista, dell'udito, le parole che gli escono a stento. Si pensa a una malattia tropicale, ma non è così. Quando Lorenzo ha 5 anni ecco la diagnosi spaventosa. Una sigla: Adl. Un errore del metabolismo che causa una degenerazione del cervello. Un enzima «sbagliato». Vuol dire che c’è un accumulo incontrollato di acidi grassi che danneggiano la guaina protettiva dei nervi, la mielina, colpendo prima le funzioni motorie e poi quelle psichiche. La sentenza dei medici è inappellabile. Lorenzo è destinato a morire in capo a due, forse tre anni dal momento della diagnosi. Non ci sono cure, la malattia stessa è stata definita solo da una decina d'anni, e buono chi ci capisce davvero qualcosa.
Augusto Odone non si dà per vinto, e comincia a studiare. In biblioteca trova uno studio clinico in cui sono illustrati diciassette casi, tutti dal decorso infausto: progressiva perturbazione psichica, mutismo, deambulazione instabile, cecità, sordità, demenza, convulsioni, morte.
L'economista e la moglie le tentano tutte. Girano per ospedali e cliniche, provano con l'immunosoppressione e con la dieta priva di grassi, ma non c'è nulla da fare. È a quel punto che Augusto Odone decide di fare da solo. Studia il caso del figlio come farebbe uno scienziato, si immerge nei testi scientifici, passa le notti setacciando i siti medici su Internet. Ma è Michaela a imbattersi per prima in una rivista scientifica polacca in cui si descrive un esperimento di manipolazione dei lipidi nei topi. È la chiave del «perché». A questo punto gli Odone, che hanno già le idee chiare, organizzano un simposio internazionale chiamando a parteciparvi tutti gli specialisti che, separatamente, si occupano dei vari aspetti della malattia. La cura, una cura possibile, è trovata. Una miscela di acido oleico e di acido erucico, ricavati da comuni oli di cucina. Un trigliceride. La si prova su Lorenzo. Funziona. La presenza di grassi nel sangue del bambino, il cui sistema nervoso è però già danneggiato, si riduce notevolmente.
Nel 1989, grazie alla passione e agli sforzi di Augusto Odone, nasce il «progetto Mielina», un programma di ricerca tuttora in corso. Otto anni fa mamma Michaela muore. Augusto continua da solo la sua battaglia.
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