Quando, come domenica, quindici monoposto si fracassano e incendiano ridotte a un niente dopo che i piloti hanno perso il controllo a 370 allora e uno di loro muore, i pensieri sono due e in rapida sequenza. Il primo: che iella per quel pilota; il secondo: che fortuna per gli altri quattordici. Nei molti mondi che corrono a 300 allora lincidente, le ferite, la morte sono ospiti non desiderati che stanno alla porta. Lo sanno i piloti, lo sanno gli addetti ai lavori perché «motoracing is dangerous» sta scritto sui pass visto che le ruote volano e pure i pezzi di sospensione e la benzina scoppia e brucia anche per chi fa da contorno.
Quando quindici monoposto si fracassano e muore un pilota, ti rendi conto una volta di più, soprattutto ora che piste e vetture hanno fatto passi da gigante in termini di sicurezza, che a far la differenza è sempre solo un dettaglio. Come nel caso di Dan Wheldon, inglese dallespressione dolce, trentatreenne vincitore di due 500 Indy, giovane padre di due marmocchi che in questultima fatale corsa correva addirittura per conquistare un premio con scopi benefici: se da ultimo avesse trionfato, avrebbe vinto 5 milioni di euro da dividere con un tifoso. Domenica, sullovale di Las Vegas, Wheldon è invece decollato toccando la ruota posteriore della monoposto di Paul Tracy finendo contro il muro e le reti come successo qualche respiro prima ad altri suoi colleghi nel mega incidente in cui lui che sopraggiungeva si è trovato coinvolto. Langolo di impatto gli è stato fatale, gli altri avevano angoli diversi. Un dettaglio.
Nelle corse automobilistiche sempre più sicure sono i dettagli a far la differenza fra vita e morte. Pensiamo a Senna che per tutti è morto schiantandosi contro il muro del Tamburello e che invece è stato ucciso da una scheggia del braccetto di una sospensione che gli ha trafitto la visiera. Dettagli.
Jenson Button che con Dan ci aveva corso lo piange e dice «che gare fra noi da giovani...», e così Webber ed Hamilton.
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