Il Muro Torto: oggi gli ingorghi, un tempo il «cimitero dei disperati»

Dopo il Colosseo, considerato nel Medio Evo una delle sette porte dell’Inferno, la quarta puntata del tour per i luoghi «maledetti» di Roma ci porta al Muro Torto. La via che scorre sotto il Pincio, percorsa ogni giorno da migliaia di auto, ha una storia alle spalle che mette i brividi. Pochi romani sanno che alla prima curva a destra, venendo da piazzale Flaminio, il sottosuolo nasconde quel che resta di un antico cimitero sconsacrato, detto «dei disperati». Quel tratto di Mura Aureliane era chiamato un tempo Muro Malo. La Chiesa proibiva di seppellire in terra consacrata, cioè dentro la città, chi si macchiava di determinati delitti: ladri, assassini e donne di facili costumi. Per loro bastava una semplice fossa fuori le mura. Oltre Porta del Popolo. Se la prostituta si sposava o si pentiva di fronte a Dio, veniva perdonata. Altrimenti, niente funerali religiosi.
Si narra che nel 1704 fu sepolta al Muro Torto una giovane prostituta di 24 anni, trovata assassinata nella sua casa in via Santo Stefano del Cacco. Il gatto della vittima era sopravvissuto due settimane bevendone il sangue. La vicenda creò molto scalpore. C’è poco da meravigliarsi, dopo una morte così orribile, se la fantasia popolare ancora oggi crede di vedere lo spirito della donna vagare a porta del Popolo.
Due secoli prima, nel 1485, all’Appia Antica, sotto il mausoleo di Cecilia Metella, i contadini avevano scoperto una tomba risalente all’epoca di Augusto. Dentro, racconta la storiografia contemporanea, trovarono il corpo ancora intatto di una bellissima ragazza. Grande meraviglia. Si credette a un’opera di magia. La salma venne portata a furor di popolo in Campidoglio. Ogni giorno i romani, attratti dalla avvenenza della giovane, facevano la fila per vederla. Finché il Papa, Innocenzo VIII, scandalizzato dalla processione sacrilega, nottetempo fece trafugare la salma e la fece seppellire in fretta e furia al Muro Torto.
Dalla leggenda alla storia. Al cimitero «dei disperati» furono sepolti, nel 1825, agli albori del Risorgimento, i carbonari Targhini e Montanari, appena decapitati a piazza del Popolo. Le persone particolarmente suggestionabili giurano ancora oggi di incontrare di notte i fantasmi dei due carbonari, che passeggiano ai piedi delle mura con la testa in mano. I pochi coraggiosi che osano avvicinarsi, chiedono i numeri al lotto. Se riescono a sostenere lo sguardo dei due, ottengono quanto chiedono. Ma poi, questi numeri escono? Nel dubbio, con il Superenalotto alle stelle, sarebbe il caso però di fare un salto.
Sopra le mura, dove finisce il Pincio, sono poste delle reti, per salvare dalla morte gli aspiranti suicidi. In tanti negli anni hanno provato a buttarsi di sotto, attirati, secondo le dicerie, dagli spiriti inquieti che popolano l’antico cimitero. Il più malefico sarebbe nientemeno che Nerone. La leggenda, come spesso capita, ha un fondamento. A piazza del Popolo, dicono le antiche carte, sorgeva il Sepulcrum Neronis. La tomba di Nerone. L’Anticristo, per la Chiesa.

Secondo le dicerie del Medio Evo, sul posto esatto dov’era sepolto era cresciuta una tetra pianta di noce, sui cui rami si appollaiavano orribili corvi, ritenuti i demoni che tormentavano nell’aldilà Nerone per i crimini commessi in vita. Finché nel 1099 Papa Pasquale II fece tagliare il noce ed esorcizzare il luogo, per farci costruire sopra la chiesa di Santa Maria del Popolo. Da allora Nerone, per vendetta, cerca di spingere chi può al suicidio.

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