Musica, arte, viaggi, cucina: quant’è «ganza» questa Rai5

RomaChiassosa, sguaiata, vacua, diseducativa? In gran parte. Eppure, di qualsiasi genere sia, qualsiasi nefandezza commetta, la tv pretenderebbe tutta di puntare ad un unico obbiettivo: la qualità. A sentir loro, tutti gli autori televisivi lavorerebbero per quest’unico, chimerico obiettivo. E i risultati? Nel marasma catodico generato dalla moltiplicazione dell’offerta - ormai enorme, tra generalista, satellitare e digitale - è possibile rintracciarla davvero, questa benedetta qualità?
Prendiamo il caso di Rai 5. Intanto, come tutti i canali digitali, anche questo sembra vivere quasi di nascosto. L’automatismo nella ricerca sul telecomando, lo scarso riscontro sui media, la mancanza di «star» o di programmi d’impatto, ancora lo relega nel limbo delle «scelte di nicchia», effettuate solo dai più curiosi. Non basta. All’inizio anche Rai 5 fa l’effetto che fanno molti suoi fratelli digitali: sembra esistere solo per «riempire» degli spazi imposti, in realtà, dagli obblighi della tecnologia e del mercato. Ma poi, a ben vedere, ti accorgi che proprio questa è la sua fortuna. Ancora libero dall’incubo-ricatto degli share, questo canale d’«intrattenimento culturale», nato nel novembre 2010 e dedicato ad arte e design, viaggi e nuove tendenze, moda e costume, lirica, prosa e danza, può ancora beatamente infischiarsene del becero gusto corrente. Basta scorrere i tanti (forse troppi) generi frequentati, e i conseguenti (spesso ignorati) exploit culturali: la wagneriana Walchiria in diretta dalla Scala il 7 dicembre 2010 (sei ore di musica in tedesco con un picco di 252mila spettatori: su Raiuno sarebbe stato un disastro; qui è un trionfo); la prima televisiva mondiale del documentario sull’artista di strada Bansky, candidato all’Oscar 2010; la bellissima inchiesta Signè Chanel, che radiografa la moda della maison di Karl Lagerfeld anche come fenomeno di costume. Tratto dominante, non a caso, un classico della divulgazione intelligente: temi alti coniugati a figure popolari. Così a spiegare la danza è Kledi, il ballerino-divo di Amici della De Filippi; la letteratura è visitata attraverso i libri che tiene in casa la prosaica Mara Maionchi; la recitazione attraverso i personali ricordi del sex-symbol Claudio Scamarcio. E le figure di più alto profilo sono tutte dotate d’opportune capacità comunicative: Philippe Daverio per l’arte, Gualtiero Marchesi per la cucina, Omar Pedrini per il rock e il pop.
Perfino la grafica del canale - raffinata ma gelida, tutt’altro che accattivante - e l’assenza (per ora) di un preciso orientamento politico («Anche se quando nacque la chiamarono "la tv della Lega", perché voluta dal vicedirettore Antonio Marano, e realizzata in gran parte a Milano») sembrerebbero la spia d’una certa libertà di manovra. Il riferimento al francese «Arte»? «Improprio. Rai 5 - si dice - è una canale senza modelli: semigeneralista più che tematico». E difatti propone ciò che ormai, sui generalisti tout-court, farebbe orrore: come i cicli di prosa o di opere, in diretta dai più grandi teatri d’Italia. E ora un appuntamento importante di «Cool tour»: collegamenti quotidiani con i padiglioni della Biennale d’Arte di Venezia, dal 5 al 9 giugno. Sempre dal 5 partono gli speciali di Renzo Arbore, in un’intervista ricca di filmati inediti; Tino Buazzelli, dal 5 nella riproposizione del mitico Nero Wolfe; Mozart, il 12 nel Ratto dal serraglio dalla Pergola di Firenze; Zucchero, dal 16 in una lunga confessione musicale. Fino all’inaugurazione scaligera del 2011, col Don Giovanni diretto da Baremboin, e l’Expo milanese, seguito quotidianamente.
Limiti e difetti? Quelli comuni a qualsiasi progetto sperimentale. Troppa carne al fuoco. E conseguente confusione, con assenza d’una precisa identità (forse aggravata forse dall’assenza d’un direttore incaricato: il talentuoso Pasquale D'Alessandro opera da sei mesi senza nomina).

Difficile, insomma, che chi stravede per un divo rock sia poi lo stesso che si gusta le Quattro stagioni di Vivaldi. Ma: tant'è. Se il problema d’un canale tv è la troppa e confusa abbondanza di qualità... ben vengano i problemi, allora.

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