Quando Carl Orff (1895-1982) scoprì in una bottega antiquaria di Würzburg un'edizione dei testi medioevali latini e alto-tedeschi dell'abbazia di Benediktbeuern (la romana Buria nell'Alta Baviera), era considerato più uno stimabile pedagogo (il suo Metodo didattico partiva dal presupposto che «la musica inizia in ogni individuo») che un revisore-trascrittore di musiche antiche (Byrd, Monteverdi, J.S. Bach) troppo modernista.
La cantata scenica Carmina Burana (1937) che raccoglieva 24 di quei canti profani, erotici e bacchici, non fu accolta bene al suo primo apparire dall'ala nazista che si raccoglieva intorno all'ideologo razzista Alfred Rosenberg: censure morali furono poste sulla lascivia dei testi, sospetti sui sincopati cripto-jazzisti, critiche sulla ripetitività ritmica e l'esiguità dell'accompagnamento orchestrale (plasmato per altro sulle sonorità inventate da Igor Stravinskij nel balletto Les Noces). Ma il successo di pubblico immediato mitigò i giudizi e la Propaganda consentì che Carmina Burana fosse assimilata al neopaganesimo dominante. Così l'autore ebbe commissioni costanti e lucrose durante tutto il periodo nazista (a partire dalle musiche di scena per il Sogno di una notte di mezz'estate di Shakespeare che sostituirono il capolavoro dell'ebreo Mendelssohn) e l'esenzione dalla coscrizione. E collaborazioni prestigiose come quella per la fiaba tratta dai fratelli Grimm, Der Mond (La Luna), «un piccolo mondo teatrale», secondo l'autore; «musica negroide bavarese», secondo i nemici, battezzata a Monaco di Baviera da artisti del calibro di Rudolf Hartmann (regia), Ludwig Sievert (scene) e Clemens Krauss (direzione d'orchestra).
Finita la guerra, il nome di Orff fu inserito dagli americani nella zona grigia con l'indicazione «non accettabile». In un miracoloso processo di denazificazione, favorito da un inquirente suo ammiratore, Orff narrò di essere stato legato al gruppo anti-nazista della Rosa Bianca (era vero solo che ne conosceva un membro, il musicologo Kurt Huber). Una storia che lo storico Michael H. Kater ha chiarito confrontando la vicenda di Orff con il destino di altri compositori del tempo: l'opportunismo camaleontico di Werner Egk, il patetico nazionalismo di Hans Pfitzner, invidioso del ruolo intoccabile assunto da Richard Strauss (pur detestato da Goebbels), il riluttante emigrato ariano Paul Hindemith, il renitente auto-sepolto Karl-Amadeus Hartmann, uno dei tanti musicisti ebrei che prese la strada dell'esilio come Kurt Weill.
Il successo mondiale dei Carmina Burana ha oscurato la produzione seguente di questo singolare «vecchio bavarese - un monacense profondamente influenzato dalla sua terra» viandante intellettuale che ha seguito un percorso di riconquista della sacralità della parola nella tragedia classica, estirpandola dalla tradizione romantica incarnata da Strauss. Da Carmina Burana, cui fecero seguito nel '43 i Catulli Carmina e nel '53 il Trionfo di Afrodite (riuniti nel trittico Trionfi), passando per gli antichi dialetti bavaresi, Orff giunse a un'ulteriore radicalizzazione del suo teatro (uno stile plastico-entusiasta dove si mescolavano anche parlato, iterazione di frasi brevi, ostinati verbali ossessivi), con la nuda drammatizzazione vocale delle tragedie di Sofocle, nella traduzione tedesca di Friedrich Hölderlin (Antigonae ed Oedipus, der Tyrann).
Il teatro di Orff richiede un pubblico, non solo tedesco, molto colto - la serie tragica fu chiusa dal Prometheus di Eschilo intonato in greco antico, e necessita meravigliosi cantanti-attori-mimi: una raccolta dei maggiori esiti del teatro di Orff, approntata da Deutsche Grammophon per ricordare i 125 dalla sua nascita, ne esibisce una messe - artisti spesso provenienti dal mondo straussiano da cui Orff aveva preso le distanze: tenori come Gerhard Stolze, Wieslaw Ochman, Fritz Uhl, Ernst Haefliger; soprani come Inge Borkh, Astrid Varnay, Gundula Janowitz. Dirigono alcune delle più carismatiche bacchette del tempo, come il Nestore bavarese Eugen Jochum, il solido Ferdinand Leitner, il proteiforme ungherese Rafael Kubelik, il divo di Berlino e Salisburgo Herbert von Karajan, testimoni del rango e del rispetto che ha circondato il compositore bavarese nel secondo dopoguerra.
Nella terza parte della sua ultima opera teatrale, il suggestivo mistero apocalittico De
temporum fine comoedia (1973), presentato da von Karajan al Festival di Salisburgo, Lucifero ritorna l'angelo prima della caduta: segno forse della liberazione dell'autore dagli spettri della zona grigia. Mistero ne circonda.
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