
I Blonde Redhead sono un gruppo tra i più amati del rock indipendente. La band si è formata nel 1993 a New York ed è composta dalla giapponese Kazu Makino (voce e chitarra elettrica) e dai gemelli italiani Amedeo (voce e chitarra) e Simone Pace (batteria). Esordi “rumorosi” ispirati da gruppi come i Sonic Youth seguiti da una ricerca sempre più originale di un suono (anche) pop. Oggi si esibiscono al Parco delle Caserme Rosse di Bologna in occasione del Festival Bonsai, un progetto di Unipol Arena. Ne parliamo con Amedeo Pace.
Siete in continua trasformazione: cosa guida la vostra ricerca?
«Non saprei spiegare esattamente quello che ci spinge a scrivere. Quando arriva il momento lo si riconosce e si inizia a giocare con le prime idee dei brani nuovi. Più passano gli anni e più si ingrandisce lo spazio fra un album ed un altro. Forse è una digestione che rallenta con gli anni o con l’accumulo delle esperienze fatte. Comunque è difficile da definire poiché la musica arriva da posti interiori, sconosciuti».
Le vostre influenze vanno dai Sonic Youth a Lucio Battisti. È difficile far convivere queste due anime, la distorsione e l’anima latina?
«I Sonic Youth sono stati una influenza sì, ma nel passato. Battisti lo ascolto e lo apprezzo moltissimo ancora come tanti altri artisti italiani che mi hanno accompagnato nei miei anni più importanti. Quello che viene fuori però è più basato su una ricerca su noi stessi e su quello che sentiamo vero e soprattutto nostro».
E poi c’è l’anima giapponese. In cosa si rivela?
«Kazu è tutto un mistero».
Pier Paolo Pasolini (in La mia vita violenta) e Joan Didion (in Sit Down For Dinner): per voi la letteratura è una grande fonte d’ispirazione?
«Leggendo ci son frasi che colpiscono qualcosa in noi. Come se le avessimo già sentite o vissute. Scrivere testi e un processo molto diverso per me e Kazu. Io vivo più in un mio mondo dove per ore gioco con frasi e parole fino quando riesco ad esprimere qualcosa che apprezzo. Kazu invece ha più facilita nel sentire delle parole o frasi e riuscire ad integrarle nei suoi testi. Questo mi affascina».
Perché Pasolini?
«Pasolini l’ho sempre visto come un artista senza limiti. Libero e sincero ed oltre ad essere un intellettuale, anche di una semplicità che spiazza e confonde. E un vero artista».
Siete una band cosmopolita. Cosa significano le radici italiane o giapponesi?
«Son molto felice di essere cresciuto come Kazu e Simone in un periodo così ricco musicalmente. I miei genitori ascoltavano sempre cose affascinanti ed eravamo circondati da più spazio e semplicità musicale ed artistica. Anche vedendo il famoso Carosello si riuscivano ad ascoltare brani con anima».
Nella vostra musica c’è sempre stata un senso di incompiutezza. È ricercata?
«A volte si. Lo spazio nella musica e molto importante. Secondo me è un modo di dare alla musica un aspetto intramontabile ed eterno. È anche bello lasciare spazio a chi ascolta e di non precisare tutto così da dare all’ascoltatore un modo di trovare sé stesso».
Avete sperimentato la viralità della rete con il
brano For the Damaged Coda. Che esperienza è stata?«Positiva, interessante e anche molto inaspettata. È stato bello aver influenzato un pubblico molto giovane che non ci conosceva ma che tramite Coda ci ha cercato».