Pietro Acquafredda
Non uno ma due Boris, il capolavoro operistico di Modest Musorgskij, in rapida successione e in forma di concerto, con la direzione di Valery Gergiev e con i complessi del Mariinsky di San Pietroburgo, cui si unisce il coro ceciliano. In verità i due Boris scelti per Roma, nel corso del «Festival Sciostakovic» dellAccademia di Santa Cecilia, non esauriscono la lista, perché i Boris esistenti sono tre, anzi quattro. Spieghiamoci. Innanzitutto due sono i Boris usciti dalla penna del suo autore, Modest Musorgskij, primo vero gigante dellopera russa, di cui Mikhail Glinka non fu che iniziatore e semmai anche padre nobile.
Il primo «Boris», quello originale, è del 1869, ed è la versione più breve ma anche quella più introspettiva dellopera, interamente incentrata sulla figura di Boris e sul suo dramma (ed è quella che Gergiev ha scelto di presentare a Roma); in seguito lautore ne fece una seconda versione (1874), aggiungendovi il cosiddetto «atto polacco», che spinse taluni a considerare lopera più simile al genere del «Grand-Opéra». Di ambedue le versioni si riconobbe la grandezza drammaturgica e musicale, ma poiché a nessuno venne in mente di considerare le novità strumentali del capolavoro, si disse anche che dimostravano come il loro autore non fosse un provetto orchestratore. Pensò Rimskij-Korsakov, il grande mago dellorchestra, a porvi rimedio, riorchestrandola interamente (1896), ma nello stesso tempo travisandone e mutandone i connotati profondi. E siamo al Boris n. 3, che con tutti i difetti, fu la versione che fece conoscere lopera.
Poi venne il Boris n. 4 (1940), quello ristrumentato da Sciostakovic che, pur apprezzando la versione di Rimskij-Korsakov, fu in grado di capire la carica innovativa delloriginale, la cui forza cercò di preservare, anzi di accentuare.
Domani e giovedì 23, ore 20,30, Auditorium Parco della Musica.
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