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Muti entusiasma New York con Ciaikovskij e Scriabin

Trionfo con la Philharmonic Orchestra al Lincoln Center addobbato per il cinquantenario di Toscanini

Muti entusiasma New York con Ciaikovskij e Scriabin

da New York

Tanti chiedono quale differenza passi fra le orchestre buone e le grandi orchestre; ed è facile rispondere sulla qualità e la varietà del suono, sul virtuosismo dei passi difficili, sul nitore delle note, sull'intonazione. Però ieri qui a New York è successa una cosa che dà una risposta in più e ve la voglio raccontare. Riccardo Muti stava provando con la New York Philharmonic il Poema dell'estasi di Scriabin. A un tratto ha chiesto un accordo forte, ed è stato esaudito; ma si è detto insoddisfatto. C'era qualcosa di troppo aguzzo e proteso in avanti, e voleva altro: ha detto allora «No, non Prokofiev, Bruckner». Sùbito gli strumentisti tutti insieme hanno ripetuto l'accordo, ma con un peso, una tinta diversa: solenne, sacra, come di chi dà un fondamento. Senza spiegare minuziosamente i dettagli, Muti ha ottenuto il suono giusto: perché l'orchestra ha la cultura e l'esperienza e l'orgoglio del proprio patrimonio, e ha colto con naturalezza il riferimento al mondo e al linguaggio dell'inquieto, asciutto autore russo del Novecento, Prokofiev, e del mistico erede del romanticismo tedesco, visionario ma solido nelle radici, Bruckner. Così si crea fra un grande direttore e una grande orchestra una complicità culturale e umana, che permette di dedicarsi direttamente all'approfondimento dell'interpretazione. Muti, che tanti vedono come il più diretto erede di Toscanini per la sua nettezza di esecutore, per il suo equilibrio fra passione e rigore, e che è molto richiesto qui come direttore stabile (ma è difficile che accetti), ha convinto ed entusiasmato con un programma che accostava il Concerto in re per violino di Ciaikovskij alla partitura di Scriabin. In Ciaikovskij si è divertito un mondo a scatenare energie e fantasie nella precisione assoluta. Non l'abbandono suadente e un po' femmineo alla bellezza, come spesso si sente, ma una pienezza di contrasti, una vita assaporata fino all'ultimo, che rende più forti i momenti lenti e dolorosi, com'è dell'animo russo e come la partitura suggerisce. Il violinista Vadim Repin, con la calma degli uomini alti e atletici dal sorriso intelligente e con la consapevolezza degli artisti che possono sperimentare tutte le soluzioni perché hanno un bagaglio tecnico da esposizione, ha risposto pienamente e nell'ultimo tempo ha dato vita a una gara eccitante con l'orchestra, come un'esplosione di virtuosismo e come la gioia dei russi quando tornano bambini.
Nel Poema dell'estasi, poi, la tensione si è fatta drammatica, angosciosa, gaudente, mistica, allucinata, come da partitura, dove, tra mille didascalie che chiedono un'espressività tesa allo spasimo, in quest'altro russo infatuato di Nietzsche, di teosofia, di tutto ciò che porta al di là della ragione, un'idea nasce dall'altra, un gesto dall'altro, nella ricerca ossessiva d'una luce che tutto giustifichi e benedica. Muti solleva l'orchestra nel prescritto delirio, ma d'ogni moto o idea lascia una traccia, così che alla fine è come se la forma negata istante per istante si ricomponesse in una visione.
La gente applaude Muti con vigore, e sente in lui il segno della grandezza italiana.

Appena fuori dalla sala da concerto del Lincoln Center, nelle vetrine i quadri della collezione che Toscanini teneva in casa. Perché dove si fa musica con amore e civiltà Toscanini è celebrato, a cinquant'anni dalla morte. Coraggio anche in Italia, Scala compresa, tirate fuori documenti, locandine, fatecelo sentire grande e vicino.

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