Namibia: arido Eden

La Namibia è un paradiso terrestre prosciugato, che regala emozioni forti. Ci sono poca acqua, pochissimo verde, pochi fiori, pochi uomini; molte rocce e un mare di sabbia. Nell’immensità dei deserti e delle piane sassose, i colori, i profumi, i sentimenti, la vita diventano più intensi

Namibia: arido Eden

di Latitudeslife

E’ come in un romanzo di Camus: ospita pochissimi aggettivi, ma quei pochi scoppiano tra le righe come bombe a mano. Hanno una potenza incontrollabile. La potenza dei fiori nelle pietraie del Damaraland o lungo il letto del fiume Huab, dove non corre una goccia d’acqua: per attirare i rarissimi insetti dell’altipiano, corolle, stami e pistilli emanano aromi e tinte stordenti che vagano nell’aria come il canto delle sirene sul mare. Le dune di Sossusvlei, che nella lingua indigena significa «il posto dove il fiume muore» sono rosse come il sangue delle gazzelle sbranate dal leone, le loro forme si stagliano morbide e sinuose, tanto rare ed esclusive che ognuna ha un numero, come i profumi di Coco Chanel: la 7 è la più alta del mondo, 380 metri, la 45 la più fotografata. Dove muore il fiume Tsauchab, inizia lo sterminato deserto del Namib, che si spinge ad Ovest fino all’Oceano e a Nord sino alla Skeleton Coast. A vederlo dal cielo fa paura: duna su duna per chilometri e chilometri. L’ultima è la spiaggia su cui si infrangono le gelide onde dell’Atlantico. Ci starebbero milioni di ombrelloni, tra deserto e mare, invece ci sono solo un paio di campi diamantiferi e le colonie di otarie. Quella di Cape Frio ne ospita tredicimila. Passano la loro giornata saltando nell’acqua come delfini, stando stese per ore pancia all’aria sotto il sole, giocando come cuccioli d’uomo, mangiando, riproducendosi. Ogni giorno uguale all’altro. Per venticinque anni, senza mai spostarsi, senza migrazioni, con l’unica preoccupazione di non finire in bocca a una iena, a un leopardo o a un’orca, di salvare i piccoli dagli agguati degli sciacalli. Il parco della Skeleton Coast è tra i più selvaggi del mondo, battuto da un vento gelido e soffocato da improvvise nebbie. L’entroterra è un deserto desolato. Le sue dune sono vive, cambiano forma e colore sotto la spinta della brezza e del sole, parlano a chi le sa ascoltare. Raccontano la triste storia di Re Leonardo. Re Leonardo era l’ultimo capobranco di una famiglia di leoni del deserto, una variazione rarissima di una specie già a rischio. Erano rimasti in sei in tutto il parco. Il sovrano, insieme agli altri due maschi, è stato ucciso a fucilate da un cacciatore di trofei, che agognava la loro criniera; le femmine sono state avvelenate. In pochi giorni è andato in fumo il lavoro di una vita dell’«uomo dei cespugli», il bushman Philip Stander, anima del «Desert lion conservation project», che passa la sua esistenza tra la sabbia e i rovi per difendere i felini dai bracconieri e dal veleno. Nel mezzo di quel nulla dove si colloca il parco meno popolato della terra, si possono ancora trovare alcuni animali che si sono adattati alla sabbia e alle rocce. Dopo ore di scorribande tra sparuti cespugli di mopane e fiumi rinsecchiti, guidati da rangers che non si arrendono mai, nella luce del crepuscolo spuntano le sagome degli elefanti del deserto, più leggeri dei cugini della savana, con le zampe più sottili e i piedi più larghi per non sprofondare nella sabbia. Sono in grado di percepire il profumo dell’acqua (sì, per loro l’acqua ha un profumo) a trenta chilometri di distanza e si muovono da una pozza all’altra a una velocità sorprendente. Sull’altopiano che domina il parco, quando il giorno sta ormai morendo, spuntano anche le zebre di montagna, rare giraffe, gli springboks e gli orici, che qui tra dune e pietraie si sono abituati a stare anche un mese intero senza bere. Al riparo delle Etendeka Mountains, nel grande Plateau di Palmwag, si trova la concessione del Desert Rhino Camp, una riserva aspra, selvaggia, che alla confluenza dei fiumi (sempre in secca) Uniab e Achab, offre i più bei paesaggi dell’Africa Australe. Colline morbide come le ciglia di un’antilope. Qui regna Christian Bakkes, una leggenda vivente. L’unico uomo che sia riuscito a sopravvivere all’attacco in acqua di due coccodrilli. Ha lasciato nelle loro fauci un braccio e qualche brandello di carne, ma ha salvato la vita. Discendente per parte di padre da una famiglia di boeri, per parte di madre è l’«erede» di un mercenario napoletano al servizio di Napoleone, spedito in Africa dagli inglesi che lo avevano ferito e catturato in battaglia. Bakkes è un ranger, un manager, un idolo delle popolazioni indigene e uno scrittore. Suoi sei libri di racconti di deserto e savana scritti in Afrikaans e un settimo scritto in inglese. Leggerli significa entrare nel cuore più nascosto del continente nero. In un mondo dove il tempo avanza lento e non si misura in ore e minuti, ma in albe, meriggi e tramonti; dove tutto – la vita, gli animali, le cose – ha un senso e un valore. Tutto è regolato dalla natura. Bakkes è un grande conoscitore dei rinoceronti. Con lui è possibile partire dal campo tendato quando ancora in cielo brilla la Croce del Sud e mettersi sulle tracce del pachiderma nell’immensa concessione sull’altipiano. Una volta trovate le impronte, si scende dalla Land Rover e si prosegue la ricerca a piedi. Quando il sole è già alto e il sudore corre lungo la schiena, come in un sogno, compare tra pietre e cespugli la sagoma preistorica del rinoceronte. «Il bello – spiega Chris Bakkes – non è trovarsi di fronte a questo cugino dei sauri antichi, o ai leoni, agli orici, ai leopardi. Il bello è cercarli tra le piane, i fiumi in secca e le colline. Perché la savana è come la vita: l’inseguimento della felicità è più importante della felicità stessa». Per chi gli animali vuole incontrarli senza spendere troppe energie nell’inseguimento, la Namibia offre uno dei parchi più celebrati del mondo: Etosha. La riserva dove sono nati mille documentari della Bbc e di National Geographic. Al centro di Etosha c’è il pan, un’immensa distesa bianca e salata vecchia di 25 milioni di anni. Attorno, ci sono le pozze a cui da millenni attingono acqua e vita elefanti, leoni, antilopi, gazzelle, leopardi, giraffe.

C’è l’Africa Australe. Quella che cattura brandelli della tua anima e li tiene laggiù tra cieli cobalto e paesaggi desolati. A casa nasce la voglia di andare a riprenderli, quei brandelli, e non ti lascia mai più.

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