Cultura e Spettacoli

Napoleone III forse non era così «bischero»

«Non era mica un bischero, sapete». Con queste parole lo storico Franco Cardini apre la sua biografia di Luigi Carlo Napoleone Bonaparte, Imperatore dei Francesi e arbitro dei destini europei dal 1851 al 1870: Napoleone III (Sellerio, pagg. 192, euro 12). Parole apparentemente buttate lì alla buona, tipiche dell’inguaribile spiritaccio toscano di Cardini, che valgono però tanto oro quanto pesano per cancellare finalmente la «leggenda nera» che da troppo tempo pesa sulla vicenda del nipote del vincitore di Austerlitz.
Conservatore e progressista, audace artefice del colpo di Stato del 1851 che strappò la Francia dall’anarchia sociale del 1848, fiero dell’aura di parvenu che le altre teste coronate non si stancarono mai di rimproverargli, grande giocatore d’azzardo sul tavolo del gioco diplomatico, Napoleone III fu il creatore di un modello di governo originale, sicuramente non assimilabile alle esperienze della destra tradizionalista, che non si estinse con la sua scomparsa. In Francia, da de Gaulle a Nicolas Sarkozy (ma anche fuori di Francia) quel modello continua a riproporsi tutte le volte che le disfunzioni della «democrazia latina» impongono una soluzione alternativa fatta di antipolitica non illiberale, di costituzionale antiparlamentarismo, di leaderismo plebiscitario, populistico, carismatico ma anche di modernizzazione della dinamica sociale, di antagonismo verso i tradizionali «poteri forti», di volontà di realizzare i presupposti di un’«economia sociale di mercato».
La sua politica machiavellica, che gli fruttò il soprannome di «Sfinge delle Tuileries», il suo eterno oscillare tra i più cinici calcoli della Realpolitik e il sincero attaccamento al nuovo principio di nazionalità, favorirono la creazione del nostro edificio unitario, che pure Napoleone III non avrebbe voluto veder sorgere, preferendogli una più debole struttura confederale, forse meglio idonea ad organizzare politicamente un’Italia ancora fortemente legata all’antico mosaico delle «piccole patrie» e fieramente avversa, nella sua stragrande maggioranza, alla «conquista regia» dei Savoia. La sua perspicacia e la sua ambizione di restituire alla Francia il ruolo di superpotenza mondiale si prefissero l’obiettivo di mutare l’assetto geopolitico del Vecchio e del Nuovo Continente, con la guerra di Crimea del 1854 e con la spedizione messicana del 1861, senza riuscirvi, ma produssero la nascita della Romania e una diversa dislocazione politica dei Balcani, contribuendo alla trasformazione dell’Impero asburgico in Impero mitteleuropeo.
La sua contesa con la Prussia di Bismarck, infine, determinò, con la tragica sconfitta di Sedan del 1870, la formazione del Reich tedesco e preparò l’inquieto scenario internazionale che avrebbe condotto alle due guerre mondiali. Ma non è tutto. Il grande disegno dell’ultimo Bonaparte fu anche quello di costruire un Commonwealth mediterraneo, cementato da una forte «intesa latina» tra Francia, Italia, Spagna, Portogallo, esteso all’Africa settentrionale, alla Siria, al Libano, nel quale alle popolazioni arabe sarebbero stati riconosciuti gli stessi diritti dei cittadini francesi. Un progetto, che Cardini giustamente valorizza per la sua modernità, e che ha fatto recentemente dire a Sarkozy, a proposito di Napoleone III, dell’«impossibilità di realizzare il sogno dell’unità europea senza arrivare, allo stesso tempo, a compiere quello dell’unità mediterranea».


eugeniodirienzo@tiscali.it

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