Napoli maxi-discarica? Sì, già dai tempi di Ciampi

I sedicenni di Napoli non hanno mai visto la loro città sgombra dai sacchi di monnezza, ha piagnucolato l’altra sera Roberto Saviano in tv. Due errori in una frase sola. Infatti bisogna risalire fino ai diciassettenni, perché il primo commissario straordinario fu nominato l’11 febbraio 1994, e le montagne di sacchi neri evidentemente intasavano i rioni partenopei già da mesi e mesi; dunque l’emergenza appartiene alla prima Repubblica. Secondo sbaglio: c’è stata un’oasi di pulizia, dopo l’intervento del governo Berlusconi nel 2008. Purtroppo è durata poche settimane.
La narrazione di Saviano è stata lunga, a tratti suggestiva, a momenti drammatica: i cadaveri esumati e smaltiti come rifiuti speciali, i dati sui tumori dilaganti. Ma è stata faziosa e sbrigativa nell’assegnare le responsabilità. Colpa del Nord che ha irretito la camorra. E di sei personaggi in cerca di untore. Lo scontato Berlusconi più cinque commissari: Rastrelli, Bassolino, Catenacci, De Gennaro, Bertolaso. Nomi consegnati al ludibrio pubblico. Antonio Rastrelli, vecchio monarchico passato dal Msi ad An. Antonio Bassolino, vecchio comunista scaricato dagli stessi compagni. Gianni De Gennaro, l’ex capo della polizia condannato per l’irruzione nella caserma Diaz durante il G8 a Genova. Corrado Catenacci, l’unico commissario (su 11) nominato da Berlusconi assieme a Guido Bertolaso, nell’occhio del ciclone per i lavori del G8 e all’Aquila. Cinque indifendibili, secondo la logica savianica; cinque bersagli facili.
La storia infinita dei rifiuti campani è un po’ più complicata dello schema «il Nord sommerge il Sud» e «Berlusconi fa propaganda». Gli attori sono la politica che sbaglia programmazione, la popolazione che rifiuta le discariche, gli amministratori locali che accettano la paralisi, gli imprenditori che non mantengono gli impegni, la camorra che lucra guadagni incalcolabili dai traffici illeciti. Fu il governo Ciampi a nominare il primo commissario, il prefetto Umberto Improta, per aprire nuove discariche contro il volere degli enti locali. Due anni dopo fu Dini a incaricare Rastrelli - poi confermato dal primo Prodi - di predisporre un piano regionale di smaltimento. Il governatore e il ministro Edo Ronchi decisero di costruire due termovalorizzatori e sette impianti per produrre combustibile. La tecnologia più evoluta nel territorio più disastrato, era il sogno di Ronchi, l’inventore delle ecoballe. Ma a Napoli hanno taroccato pure quelle, impossibili da bruciare perché non differenziate (lo stesso motivo per cui non tutti gli inceneritori del Nord possono accettare i rifiuti campani indifferenziati), piramidi entrate stabilmente nel paesaggio campano come monumenti alla vergogna.
Nemmeno gli impianti funzionano: il consorzio di imprese appaltatrici, guidate da Impregilo, non li ha completati oppure non li ha costruiti a norma. A chi spettava il controllo? Ovviamente al commissario straordinario. Che nel frattempo era cambiato: il governo Amato aveva insediato il nuovo governatore, Bassolino, il quale con quattro anni di permanenza ha il record dell’incarico più lungo e del numero di accuse più cospicuo (epidemia colposa, truffa aggravata, frode, peculato, abusi). Le ecoballe si accumulano. Costa meno spedirle in Germania, dove vengono usate per produrre energia rivendutaci a caro prezzo, che smaltirle nelle discariche in via di esaurimento.
A furor di popolo nel 2004 Berlusconi nomina Catenacci che però non resiste alla bonifica prodiana. Il governo del professore bolognese in soli due anni nomina cinque commissari: Bertolaso, Pansa, Cimmino, Sottile, De Gennaro. È il sintomo di una patologia fuori controllo, mentre il Comune di Napoli (sindaco Iervolino) si diletta a spendere centinaia di migliaia di euro in «analisi della percezione della qualità del territorio» invece che investire nella differenziata, compito specifico delle amministrazioni locali che invece non decolla. I Comuni avevano costituito consorzi di gestione pieni di lavoratori socialmente utili e infiltrati di camorra lasciati senza mezzi. In Campania sono 25mila gli addetti alla pulizia urbana mentre, in rapporto alla popolazione, non dovrebbero superare gli 8mila.
De Gennaro fa approvare la costruzione di tre termovalorizzatori, tuttavia Prodi non ha nemmeno la forza di varare l’unico vicino all’inaugurazione, quello di Acerra. Uno scempio, uno scandalo che fa il giro del mondo. Tocca a Berlusconi gestire un’emergenza di dimensioni ben maggiori dell’attuale: nel giugno 2008 giacevano nelle vie di Napoli 35mila tonnellate di rifiuti (oggi sono «appena» 3mila secondo l’assessore Giacomelli). Con l’esercito che scorta i camion e presidia i luoghi di riversamento, in un anno e mezzo la struttura guidata da Bertolaso ha ingoiato quasi quattro milioni di tonnellate di monnezza, 6.700 al giorno.
«Mai più», promette Berlusconi che confida sulla collaborazione dei Comuni nel promuovere la raccolta differenziata, il carburante che fa funzionare i termovalorizzatori. Promessa ardita. Bertolaso risolve l’emergenza, cioè ripulisce le strade, ma non riesce a incidere sul meccanismo d’insieme. La differenziata a Napoli è inchiodata al 18 per cento (smaltito soprattutto al Nord), l’inceneritore di Acerra funziona a mezzo servizio, le discariche si avviano al riempimento tra le sollevazioni di chi non vuole nuova spazzatura sotto casa (ieri i parlamentari campani del Pdl hanno annunciato un accordo per l’apertura della cava di Macchia Sovrana), Comuni e Province si azzuffano e chiedono proroghe al governo. Il quale però ribatte che, chiusa un anno fa l’emergenza, le competenze sono tutte degli enti locali.
Si litiga mentre i rifiuti restano abbandonati.

E il conto? Secondo il Garante degli appalti, soltanto le 25 ordinanze emergenziali sono costate tre miliardi e mezzo di euro. Saviano ha calcolato una spesa di quasi otto miliardi di euro in dieci anni. Con l’inceneritore malfunzionante, non si può neppure dire che siano finiti in fumo.

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