Napolitano: «Abbassare il debito per investire nella ricerca. E basta risse»

Il capo dello Stato è a Trieste per il concerto di riconciliazione, diretto a Riccardo Muti, con i presidenti di Slovenia e Croazia, e invita i partiti italiani a cercare soluzioni condivise ai problemi che riguardano tutti

Due ricette per l'Italia, due messaggi in bottiglia per una classe politica litigiosa: abbassare il debito e prendere «decisioni condivise» su alcuni problemi che riguardano tutti. Infatti, sostiene Giorgio Napolitano, non è possibile continuare a spendere per pagare il debito pubblico e non per investire. E nemmeno è sopportabile che il normale, fisiologico, «anche aspro» confronto tra i partiti, degeneri sempre in rissa: ci sono alcune questioni generali su cui ci deve essere accordo.
Due ammonimenti che il presidente della Repubblica manda da Trieste, dalla nuova sede della Scuola internazionale superiore di studi avanzati. Il debito pubblico italiano, ha comunicato la Bankitalia, a maggio è cresciuto a 1.827 miliardi di euro contro i 1.812 di aprile scorso. «Possiamo discutere delle scelte da fare e delle misure da adottare, ma non c'è dubbio che non possiamo continuare a far pesare sulle spalle dei giovani un debito pubblico così pesante», è il commento di Napolitano. «Siamo in una fase di consolidamento della finanza pubblica, dopo il peso e l'assillo della crisi economica e finanziaria internazionale. Nei decenni passati c'è stata una espansione del debito pubblico e certo il nostro Paese partiva da una condizione pesante». Per questo l'obiettivo prioritario è ridurre il buco. Non è accettabile, spiegato il capo dello Stato, «spendere ogni anno risorse per diversi punti del Pil non per investire ma per pagare il debito». Dunque, cordoni stretti, «c'è bisogno di misure di severa restrizione della spesa corrente». Napolitano ricorda la sua esperienza come ministro e racconta di «sapere bene quanto è difficile definire le priorità» all'interno del Consiglio dei ministri. «Ma dobbiamo riuscire a farlo».
E poi l'appello alle forze politiche perchè ci sia condivisione sulle scelte strategiche e di lungo periodo che riguardano l'Italia. «In un paese democratico non mancano i campi, i problemi e le scelte su cui contendersi il voto, i consensi, confrontarsi anche aspramente. Ma ci sono alcuni problemi - dice - che esigono condivisione perchè sono scelte di medio e lungo termine che non possono essere disfatte se cambia il colore di un'amministrazione, richiedono continuità».
Altro capitolo, la ricerca. «La riforma dell'università è indispensabile e nessuno può negarlo, ma non possono mancare le risorse per uno dei settori strategici per lo sviluppo del Paese», dice ancora Napolitano. «Ci sono state scelte discutibili e onerose come la proliferazione di sedi e corsi, c'è stato disordine e inefficienza nella governance del sistema universitario, ora la legge deve porre rimedio a questo». Ma insieme ai ritocchi ci deve essere «una dotazione adeguata delle risorse, sono due facce della stessa medaglia». «Mi rifiuto di credere che la ricerca stia annegando. Mettiamocela tutta, recuperiamo tutte le nostre risorse, anche quelle masse di giovani fuori dall'occupazione e dall'attività di formazione e addestramento che ci vengono segnalate dall'Istat. Dobbiamo anche fare tornare in Italia chi è andato a studiare all'estero».
Centri di alta formazione come questo, aggiunge, «sono realtà essenziali per l'Italia», come lo sono la Scuola Normale superiore di Pisa, fondata 50 anni prima dell'unità d'Italia, ed altre scuole e centri. «Dobbiamo valorizzare al massimo tutto quello che si fa in Italia nel campo della ricerca e anche le energie che riusciamo a stimolare grazie all'impegno di nuove generazioni».

E cita come esempi il laboratorio internazionale di genetica e biofisica di Napoli, fondato negli anni '60, «davvero un'impresa d'avanguardia», e il progetto di ricerca in Antartide, presentato al Quirinale la scorsa settimana ed è in corso da 25 anni.
Infine, le foibe. Napolitano invita Trieste ad andare oltre, senza dimenticare la tragedia e le stragi. «Pur preservando la memoria, non si può essere prigionieri del passato e che bisogna guardare avanti»

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