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Napolitano contro la scuola di Adro «Togliete i simboli della Padania»

Povero Oscar Lancini. Lui, con quella scuola elementare nuova di zecca e decorata da 700 simboli del «Sole delle Alpi», voleva dimostrare passione, fedeltà e impegno alla causa leghista. Voleva fare bella figura, forse guadagnare punti coi vertici del partito. E invece gli sono piovuti in testa solo rimproveri, prese in giro, reprimende; dalle sinistre, dai media, dalla maggioranza. Ma anche dalla sua stessa amata Lega, quel Carroccio che grazie a lui al Comune di Adro, poco più di seimila anime nel bresciano, governa senza interruzioni dal 2004. E ieri sul groppone già martoriato di critiche di Lancini è arrivato l’ultimo colpo, il mattone più pesante, perché quello piovuto da più in alto. Dritto dritto dal Quirinale.
«Il capo dello Stato ha apprezzato il passo compiuto dal ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, invitando il sindaco di Adro a rimuovere quelle esibizioni». Questo quanto scritto ieri dal segretario generale della presidenza della Repubblica a quei genitori di Adro che avevano espresso in una lettera - recante 185 firme - la loro preoccupazione per la massiccia presenza della simbologia leghista nelle aule dove studiano i loro pargoli. Per rassicurare i genitori firmatari dell’appello, il segretario generale in forza al Colle ha anche sottolineato che «il presidente della Repubblica ha seguito e segue con attenzione la vicenda della clamorosa esibizione del simbolo del “Sole delle alpi” nel nuovo polo scolastico di Adro».
«Clamorosa esibizione»: toni inusualmente forti per lo stile del Quirinale. Probabilmente con quest’ultimo colpo per Lancini, 45 anni, in tasca una licenza media, un passato da imprenditore specializzato in spurghi industriali e un recentissimo presente da politico di successo (nel 2009 ha riconquistato il Comune ottenendo preferenze plebiscitarie, oltre il 62 per cento) la battaglia in difesa degli «arredi padani» della scuola è definitivamente persa. Difficilmente Bossi e i suoi - che peraltro finora hanno dimostrato di non aver gradito l’iniziativa dell’intraprendente primo cittadino - affronteranno il capo dello Stato pur di difendere il sindaco. Anzi. Più di una volta nel giorni scorsi i quadri e i vertici del Carroccio hanno espresso il fastidio per un’iniziativa tanto inutile quanto controproducente. Perché quando l’ex sindaco di Brescia, Paolo Corsini, ora deputato del Pd, ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Interno - l’unico, per legge, che può ordinare al sindaco di rimuovere quei soli - Maroni si è trovato in difficoltà, stretto da un lato dall’inopportunità politica di condannare un’iniziativa comunque nelle note della base leghista e dall’altro dai suoi obblighi istituzionali.
Finora il titolare del Viminale ha preso tempo, dichiarando che, fosse stato per lui, si sarebbe fermato all’intitolazione del plesso scolastico a Gianfranco Miglio, il teorico delle tre macroregioni, considerato da più parti l’ideologo della Lega delle origini. Perfino il Senatùr in persona, Bossi, ha dimostrato insofferenza: Lancini, probabilmente convinto di fargli piacere, ha provato inizialmente a ricacciare indietro le prime critiche strombazzando che lui i simboli li avrebbe rimossi sono se glielo avesse chiesto Bossi in persona. Cosa che il Senatùr, dotato di un fiuto politico ben più sviluppato di quello del suo seguace, si è guardato bene dal fare, visto che Lancini - come amministratore pubblico - è tenuto a obbedire allo Stato, e non a un capo di partito.


Di una cosa sola Lancini può essere soddisfatto: di aver rimandato a questa sera, a porte chiuse, il consiglio comunale che si sarebbe dovuto tenere lunedì, annullato in corso d’opera dal sindaco in persona per la presenza di fotografi e giornalisti. Questa sera il municipio sarà interdetto a cronisti e telecamere.

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