Roma - Le foibe? Razzismo puro. Anzi, peggio, pulizia etnica. Su questo punto Giorgio Napolitano non fa più sconti. Lo ha già detto un anno fa, provocando una crisi diplomatica con la Croazia: la strage di italiani da parte delle milizie di Tito fu «un imperdonabile orrore dell’umanità, con l’aggravante di un disegno annessionistico slavo». Lo ripete adesso, celebrando al Quirinale il giorno del ricordo: non smetteremo mai di condannare «la piaga dei nazionalismo, il disprezzo per l’altro e l’esaltazione della propria identità etnica e storica».
Nel febbraio scorso il presidente croato Stipe Mesic replicò duramente, Napolitano controreplicò, i ministri degli Esteri si scambiarono note di fuoco, Roma e Zagabria arrivarono a un passo dalla rottura delle relazioni diplomatiche. Finche l’Ue diede ragione all’Italia e Mesic dovette fare retromarcia. Incidente chiuso? Non si direbbe, vista adesso la voglia del capo dello Stato di tornare pubblicamente e solennemente sull’argomento, pronunciando a braccio due frasi non inserite nel testo scritto. Ci sono state proteste? Pazienza, dice Napolitano inaugurando la cerimonia nel Salone dei Corazzieri. «Ho espresso con chiarezza il mio pensiero lo scorso anno, e qualche reazione inconsulta al mio discorso che c’è stata fuori d’Italia non ha scalfito la mia convinzione che fosse giusto esprimermi a nome della Repubblica con quelle parole e quell’impegno che sono contento di aver sentito poco fa dal ministro Rutelli».
I parenti delle vittime applaudono. Per loro 75 medaglie con diploma. «Avete appena ricevuto solenni anche se tardivi riconoscimenti - spiega il presidente -. Il giorno della memoria sia di monito per far prevalere le ragioni dell’unità su quelle della discordia. Dimostriamo dunque nei fatti che quegli italiani che oggi onoriamo non sono dimenticati, che il dolore di tanti non è stato sprecato. Dimostriamo tutti di aver appreso la lezione della storia e di voler contribuire allo sviluppo di rapporti di piena comprensione e collaborazione tra i popoli dell’Unione europea. Se le ragioni dell’unità non prevarranno su quelle della discordia, se il dialogo non vincerà sul pregiudizio, niente di ciò che abbiamo faticosamente costruito può essere considerato acquisito». Conclusione: «È giunto il momento di interrogarci sul più profondo significato del ricordo che fortemente, giustamente, ci si è rifiutati di veder cancellato, l’omaggio alle vittime e il doveroso riconoscimento delle ingiustizie subite e del dolore dei discendenti di chi fu costretto all’esodo». Senza però «prescindere da una visione complessiva» degli «anni dei totalitarismi».
Francesco Rutelli parla di memoria condivisa. «Il giorno del ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, istituito cinque anni fa dal Parlamento per ridare dignità a un anniversario troppo spesso dimenticato, è diventato una ricorrenza di tutti». Per cinquant’anni, aggiunge il vicepremier, «una parte della storia della nazione italiana fu lasciata ai margini, senza la consapevolezza e la dignità che le spettava». Oggi però «è diventato un momento pubblico nazionale», celebrato in tutta Italia. Come a Trieste, dove il sindaco Roberto Dipiazza chiede che, «dopo la strisciante congiura del silenzio, ora lo Stato paghi gli indennizzi agli esuli istriani, fiumani e dalmati».
Eppure sul tema ci si divide ancora. «Finalmente - dice Pier Ferdinando Casini - grazie a una legge approvata nella scorsa legislatura si è restituito l’onore a quelle vittime». Maurizio Gasparri sottolinea che «il giorno della memoria è un merito della destra».
Sull’altro versante Jacopo Venier, Pdci, invita «a rammentarsi anche dei crimini del fascismo e del razzismo italiano contro le popolazioni slave». E Marco Rizzo: «Un conto è ricordare, un altro e fare del revisionismo storico».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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