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Francia, Macron ha il centrista François Bayrou come nuovo premier
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Napolitano invece è rimasto al '47

Anche il presidente della Repubblica ha deciso di scendere in piazza e ha scelto la Biennale democrazia di Gustavo Zagrebelsky per esporre l’ideario politico del Quirinale. Il nocciolo del discorso è una frase di Norberto Bobbio: «La denuncia della ingovernabilità tende a suggerire soluzioni antidemocratiche». E il presidente ha aggiunto di suo che i diritti di libertà non sono sacrificabili «in funzione di decisioni rapide, perentorie e definitive da parte dei poteri pubblici».

Queste frasi non sono politicamente neutre, anche se il presidente nel testo del discorso chiede «il riconoscimento del capo dello Stato come potere neutro». Il riferimento politico è chiaro, perché è il presidente del Consiglio che ha sostenuto il diritto del governo a decidere sullo stato di necessità che giustifica la decisione governativa di emanare decreti legge. Affermare che il richiedere il riconoscimento dell’autonomia del governo come organo costituzionale possa essere connesso a una limitazione dei diritti di libertà significa obiettivamente una cauzione presidenziale alla critica del governo Berlusconi come potenzialmente autoritario e pervasivo.

È la tesi sostenuta dall’opposizione, soprattutto nelle sue parti più estreme. Ciò certo non è politicamente neutro: e infatti il presidente della Repubblica non ne ha fatto oggetto di un messaggio alle Camere che avrebbe formalizzato un conflitto costituzionale tra il Quirinale e Palazzo Chigi. Il discorso del Presidente dà l’impressione che egli pensi che la vita democratica del Paese sia ferma al ’47 e che non siano avvenuti cambiamenti politici del corpo elettorale che hanno posto il problema di nuovi rapporti tra il governo, il Parlamento e il corpo elettorale: e quindi una riforma della Costituzione.

Sta il fatto che la riforma della Costituzione si è rivelata impossibile sin da quando il problema è stato sottoposto nella prima Repubblica. E lo stesso è accaduto quando, con il sistema elettorale maggioritario, è stata cambiata la costituzione materiale dello Stato, come sempre accade quando si cambia il sistema elettorale. Anche i Parlamenti, eletti dopo il ’94, non furono in grado di cambiare la Costituzione. E il problema su cui tutti i Parlamenti sono caduti è quello del rapporto tra il governo, il Parlamento e il corpo elettorale. Non a caso l’elemento fondamentale del contrasto è stata la legge elettorale.

Alla base del mutamento politico vi sono i referendum Segni, che posero il problema del maggioritario per creare un rapporto tra maggioranza elettorale, maggioranza parlamentare e direzione del governo. Apparve così che il corpo elettorale non accettava più che i partiti decidessero liberamente la composizione del governo, ma chiedeva di designare con il voto il presidente del Consiglio. Era cambiata la costituzione materiale del Paese. Non si può negare il fatto che l’autoscioglimento dei partiti storici della prima Repubblica determinato dal giudiziario non abbia agito come un colpo al sistema politico. Il problema della ingovernabilità è scritto nella storia politica della riforma costituzionale da quando esso si è posto.

La Costituzione non regolò i rapporti tra Parlamento e governo e affidò ai partiti antifascisti la decisione in materia. Oggi questi partiti si sono autodissolti o mutati; e la maggioranza del corpo elettorale non nasce dalla lettura antifascista partitocratica della Costituzione repubblicana. Ma il fatto che il capo dello Stato indichi la governabilità come un problema che mette in questione lo stato di diritto è sorprendente ed è in se stesso grave perché obiettivamente pone un problema costituzionale. Non è possibile che il capo dello Stato indichi come forza potenzialmente antidemocratica la sola maggioranza di governo che esiste ora, dopo che la sinistra, a cui egli politicamente appartiene, è stata così radicalmente sconfitta, nonostante l’appoggio che ha avuto dalle istituzioni e dalla stampa.

Il Quirinale ha assunto nuovi poteri dopo la fine dei partiti democratici. Non si può dire che Scalfaro sia stato un presidente della Repubblica politicamente neutro.

Mettere in crisi questa maggioranza che si riconosce in Berlusconi come leader ponendo in luce la sue divisioni interne non è politicamente neutro, come non lo fu l’azione di Scalfaro verso la maggioranza berlusconiana del 1994.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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