RomaDunque niente firma, niente via libera presidenziale alla riforma del lavoro: e così, per la prima volta durante il suo settennato, Giorgio Napolitano rimanda una legge alle Camere per una seconda lettura. Il provvedimento, dice in sostanza il capo dello Stato, ha «apprezzabili intenti» e propone uno strumento per prevenire le controversie, larbitrato, che «merita di essere valutato con spirito aperto». Però, a giudizio del Colle, il testo così comè presenta dei problemi. Innanzitutto è un disegno di legge «complesso ed eterogeneo», un elefante di 50 articoli e 140 commi. Poi, il pur lodevole arbitrato va definito meglio «in un quadro più preciso di garanzie» e in un maggiore «equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e adeguate tutele della parte più debole». Il mercato è cambiato, la flessibilità è una buona cosa, però proprio per questo occorrono garanzie maggiori per i lavoratori.
La bocciatura non è totale e infatti il governo annuncia che ci rimetterà le mani, come dice il ministro Maurizio Sacconi, «tenendo conto dei rilievi del presidente». E mentre i tecnici sono al lavoro, già è partito un altro tam-tam. Perché il capo dello Stato ha negato la firma? Ha voluto fare un piccolo favore ai sindacati e al centrosinistra? O piuttosto prepara il terreno a unaltra decisione difficile? Sul suo tavolo infatti giace da qualche settimana unaltra e ben più delicata legge in attesa di vaglio, quella sul legittimo impedimento. Dal Colle spiegano che «non cè nessun automatismo» tra i due dossier, nel senso che non è detto che Napolitano, dopo aver bocciato il primo, si appresti a cassare pure laltro. Anzi.
Certo, è difficile fare delle previsioni. Di sicuro il presidente è sottoposto a un pesante pressing politico-mediatico. Quindici giorni fa Repubblica dedicò una pagina intera per raccontare come il capo dello Stato avesse già deciso di rimandare alle Camere la riforma del lavoro, prendendosi dopo tre ore una durissima smentita ufficiale: «Il presidente della Repubblica esamina i provvedimenti nei tempi dovuti e respinge ogni condizionamento che si tenda ad esercitare nei suoi confronti, anche attraverso scoop giornalistici». E se anche poi ha deciso di non firmare, gli è rimasto tutto il fastidio per essere stato tirato per la giacchetta.
Ma il ddl sul lavoro è poco più di ordinaria amministrazione. Molto impegnativa invece sarà la scelta sul legittimo impedimento, una legge che sta particolarmente a cuore a Silvio Berlusconi, visti i processi che rischiano di imbrigliarne la sua capacità di governo. Da un mesetto ormai gli uffici giuridici del Quirinale consultano testi, esaminano codici e raccolgono pareri di costituzionalisti. Prima di annunciare la sua scelta, Napolitano si prenderà tutto il tempo che ha a disposizione. Il termine ultimo è il 10 aprile, quasi sicuramente quindi deciderà nella settimana dopo Pasqua.
Insomma, si preannuncia un travaglio analogo a quello che ha preceduto il rinvio alla Camere dellarticolo 18. Prima di rendere pubblico il suo orientamento, Napolitano ha voluto aspettare che si svolgessero le elezioni regionali per non influire sul voto e condizionarlo in qualche maniera. Una volta deciso, ha preferito accompagnare il suo no con un lunghissimo messaggio alle Camere.
Nove cartelle nelle quali il capo dello Stato non entra «politicamente» sulla questione dellarticolo 18, ma affronta largomento per vie più generali. Cè un problema formale complessivo, per via di quei cinquanta articoli. E cè un problema più di sostanza. Il punto, secondo Napolitano, è che bisogna tenere ferma la «volontarietà dellarbitrato» assicurando «unadeguata tutela al contraente debole».
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