da Roma
Fatta lEuropa, occorrerebbe fare gli europei. Se non fosse che, cinquantanni dopo il primo atto costitutivo dellunità europea, oggi siamo ancora al primo punto. All«imperiosa necessità di una forte Unione politica», come ha ricordato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Al rilancio di un progetto che da due anni è fermo «a un punto morto». Superare «dubbi e scetticismo», ricostruire la trama di speranze e magari illusioni che i Padri fondatori avevano tessuto. «Sapete che cosa fece nel 54 De Gasperi, quando seppe che il progetto della Ced, la Comunità europea di Difesa, era fallito? - ha raccontato il premier Romano Prodi -. Si mise a piangere. Glielo dissero al telefono e lui cominciò a piangere. Non credo per lemotività, ma per la lucidità, perché capiva quale grande occasione fosse appena sfumata».
Per fortuna, tre anni dopo, il Trattato sottoscritto a Roma il 29 marzo dai primi sei Paesi fondatori (Italia, Francia, Germania e Benelux) mise in cammino quellidea che si appresta a essere celebrata oggi e domani a Berlino, con solenni manifestazioni. Solenne anche il prologo, ieri nei Palazzi romani, tra sedute straordinarie in Parlamento, convegni, brindisi e poi cena al Quirinale. Cornici di prestigio che hanno però forse reso stridente il problema allordine del giorno: la crisi della Ue, e il suo rilancio dopo i referendum anti-Trattato costituzionale in Francia e Olanda. Come ricostruire lUe, come avvicinarla ai cittadini? Come renderla «forte», «con un quadro istituzionale chiaro e funzionale», «senza compromessi al ribasso» (obbiettivi sottolineati dal nostro governo)? Di sicuro, ha affermato Napolitano, «lEuropa non può perdere tempo e non può esitare: deve riuscire a parlare con una voce sola». Auspicio fatto proprio anche dal presidente del Senato, Franco Marini. E che ha trovato, in unintervista del cancelliere tedesco, Angela Merkel, un tassello ulteriore. «Dobbiamo abituarci allidea di un esercito comune europeo», ha proposto la Merkel. Tema che resta forse ineludibile, quello della Difesa comune, e che darebbe altro corpo a istituzioni asfittiche e burocratiche.
Nei loro discorsi, Prodi e DAlema hanno schierato lItalia al fianco della Germania, presidente di turno dellUe, cui spetterà indicare una «road map» che faccia riprendere il cammino «entro le elezioni europee del 2009». Ma se le riforme delle istituzioni europee sono invocate da tutti (o quasi), restano prioritari temi «sociali e politici», come ha ricordato il presidente della Camera, Fausto Bertinotti. Specie ora che i Paesi membri sono 27, e si apprestano a crescere ancora. Anche a dispetto della posizione ribadita dal Vaticano, con monsignor Mamberti: «Lallargamento non minacci la condivisione dei principi e dei valori forgiati dal Cristianesimo».
Ma se in Italia il dibattito sulle radici europee è tornato dattualità, più comunemente avvertita è sembrata lesigenza di «ripartire a testa alta», recuperando qualcosa dello spirito dei fondatori e reagendo a quella sorta di «pigrizia» che inchioda i governanti europei. «Non bisogna coltivare sogni piccoli - disse Goethe -, perché non hanno il potere di scuotere il cuore degli uomini». Ecco perché lEuropa è già qui. Occorrerebbe saperla sognare.
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