Napolitano, stoccata alla politica: «Una bolgia, basta scontri sterili»

RomaUna sorsata di storia e di cultura. Una boccata d’ossigeno dopo una settimana piuttosto intossicata. E all’università La Sapienza, Giorgio Napolitano può rifiatare prima di doversi rituffare nei veleni del palazzo. «Qui si respira una bella aria. Altrove c’è la bolgia». Altrove, cioè nel mondo politico, ci sono miasmi e confusione, come nelle fosse dantesche dell’Inferno. Nell’ottavo cerchio venivano puniti i fraudolenti, i seduttori, gli adulatori, i simoniaci, i ladri, i consiglieri di frodi, i seminatori di scandali, i falsari. Nel nono i traditori della patria, che finivano nelle ampie fauci di Lucifero.
E oggi? Oggi ci sono polemiche su tutto, ricorsi alla magistratura, risse, manifestazioni contrapposte. Sì, per il capo dello Stato serve proprio Dante per descrivere quello che sta succedendo in questi giorni. Per fortuna ci sono anche «momenti di assonanza», come la celebrazione per i 150 anni dell’unità d’Italia. «È stata una splendida iniziativa ad alto livello culturale - commenta il presidente lasciando l’università -, anche con una comunanza d’accenti. C’era un ministro della Repubblica, Franco Frattini, un esponente storico della politica come Giuliano Amato e c’era un maestro quale il professor Giuseppe Talamo». Sullo scontro tra i poli, Napolitano non dice altro e lascia la parola ad Amato: «Oggi sembra che sia messo in dubbio il consolidamento dell’equilibrio dei poteri che è l’architrave della Costituzione. Nulla legittima un potere esorbitante, nemmeno un mandato popolare elettivo».
Un equilibrio difficile, che in queste ore viene messo a rischio dalle contestazioni contrapposte delle due curve di ultras ai fischi dell’arbitro. La questione delle firme non è ancora finita che già si è aperto un altro fronte, la legge sul legittimo impedimento. Firma? Non firma? Il tormentone è partito e si prevede che durerà almeno alcuni giorni. Il testo infatti, che non è ancora arrivato al Quirinale, verrà esaminato «con molta attenzione» dagli uffici legislativi e poi sottoposto al capo dello Stato. Il quale alla fine deciderà «non in base ai convincimenti personali», né alle «opportunità politiche», né tantomeno agli effetti che potrà avere la sua scelta, ma solo «valutando i requisiti di costituzionalità» che verranno soppesati con la massima cura.
I tempi per l’esame forse non saranno stringenti. Dal Colle ricordano che l’articolo 73 della Carta prevede che per la conversione, o il rinvio alle Camere, il presidente può prendersi fino a un mese. Sicuramente non si arriverà a tanto, il giudizio sarà più rapido. Però l’esame sarà accurato perché ci sono dei punti critici che vanno affrontati con prudenza.
Intanto, la prossima settimana, Napolitano andrà in Siria in viaggio ufficiale. Prima di partire, ha voluto salutare l’inaugurazione dell’anno giudiziario dell’ordine forense spedendo l’ennesimo messaggio in bottiglia. Le riforme, dice, sono necessarie, quella della giustizia è addirittura urgente. Però la strada per farle va percorsa «con spirito costruttivo, pur nel serrato confronto delle opinioni, senza cedere a contrapposizioni sterili e preconcette il cui unico effetto è quello di creare tensioni istituzionali e sfiducia e sconcerto tra i cittadini».
Parole al vento? Forse. Il clima è quello che è, pessimo, e in vista delle elezioni nei prossimi quindici giorni può solo peggiorare. Quanto alle «tensioni istituzionali», quelle già ci sono e se ne avrà una dimostrazione fisica, plastica, domani in piazza. Antonio Di Pietro ha abbassato solo leggermente i toni, in realtà continua a stuzzicare Napolitano, mettendo in dubbio la sua versione sul decreto salva-liste.

«Chi attaccherà il capo dello Stato sarà automaticamente fuori dalla coalizione», avverte Enrico Letta. Sarà un sabato duro, a cui seguiranno altre giornate tese. Prima di riparlare di riforme, Napolitano lo sa bene, bisognerà aspettare che la campagna elettorale finisca.

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