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Napolitano sulla via di Damasco, ma a convertirsi alla pace è Assad

Il presidente italiano quattro giorni in Siria: è il primo capo di Stato occidentale che visita il Paese mediorientale dopo la svolta nei rapporti tra Damasco a Washington è l'apertura di credito politico di Obama nei confronti dell'ex «Stato canaglia»

Tra poche ore Giorgio Napolitano sarà sulla via di Damasco, ma stavolta la conversione l'hanno fatta i siriani. Il presuidente italiano sarà infatti il primo capo di stato occidentale a vedere Bashar Al-Assad dopo la svolta diplomatica che ha portato al clamoroso riavvicinamento tra Damasco e Washington. L'occasione è particolarmente interessante e può riportare l'Italia nel suo tradizionale ruolo di mediazione e di ascolto tra i protagonisti della politica mediorientale.
Una politica che Napolitano segue fin dall'inizio del suo settennato. Il presidente infatti ha ricevuto al Quirinale i reali di Giordania appena pochi mesi fa e, negli anni, visitato quasi tutti gli Stati dell'area, a cominciare dal moderato Egitto per passare poi a Israele e Libano e, da ultimo, la Turchia. Un paese, questo, a sua volta alla ricerca di un ruolo di mediazione tra Israele e la stessa Siria dopo l'interruzione dei contatti indiretti tra i due paesi, nel 2009, in seguito all'Operazione Piombo Fuso.
Una visita di quattro giorni, con un cerimoniale tipico di queste occasioni: arrivo, visita alla meravigliosa Moschea Ommayade, fatta costruire dalla dinastia che avrebbe dominato più tardi la Spagna musulmana, e il giorno dopo i colloqui ufficiali. Napolitano ed Assad si vedranno, come prassi vuole, prima a quattr'occhi e quindi insieme alle delegazioni. L'agenda sarà incentrata sulla situazione mediorientale e sull'Iraq, fresco reduce dalle elezioni politiche. Argomento particolarmente delicato per i siriani, come lo stesso Napolitano ebbe modo di vedere di persona durante la sua visita alla sede cairota della Lega Araba.
Il dato essenziale della visita, comunque, va cercato nel fatto che Damasco, dopo la decisione di Barak Obama di alzare il livello dei rapporti diplomatici con l'invio di un vero e proprio ambasciatore, ha definitivamene cessato di essere uno «Sato canaglia», il pariah della regione. Una grande rivincita per Assad, il quale ancora cinque anni fa doveva annunciare imbarazzato al parlamento il ritiro delle forze siriane dal Libano. Sembrava il crollo del progetto politico inseguito per un quarto di secolo dal padre di Bashar, Hafez: quello di controllare il piccolo e ricco vicino. Invece oggi Damasco è tornata ad un ruolo di potenza regionale, esercitando una morbida pressione su Beirut e trovando un ascolto maggiore che non ai tempi dell'occupazione. Merito della politica sottile e spregiudicata di Bashar, che via via ha saputo destreggiarsi in rischiosi ammiccamenti nei confronti dell'Iran e aperture di credito alla Turchia dopo l'invasione di parte del Kurdistan iracheno, nel 2007.
Ancor più, Bashar Assad ha saputo riprendere la via che da Damasco porta a Mosca, percorsa dal padre molte volte ai tempi della Guerra Fredda. Senza mai dare l'impressione di voler tornare ad essere una semplice pedina della tradizionale politica russa. Una ragione in più, questa, per ottenere alla fine un riconoscimento da quegli Stati Uniti che ancora pochi anni fa mettevano lui e l'Iran a fianco delle potenze dell'Asse del Male. Obama, impegnato in queste settimane in un dialogo serrato con Israele dopo la nuova crisi degli insediamenti ebraici a Gerusalemme, ha scelto a sua volta la linea dell'apertura di credito. Un passo con pochi precedenti, volto ad aumentare le chance di stabilizzazione della regione e, forse, ad inviare un messaggio di insoddisfazione nei confronti dell'alleato storico israeliano.
Una politica che trova pieno riscontro in quella dell'Unione Europea. Bruxelles ha offerto a Damasco l'accordo di associazione che era stato sospeso nel 2005. E adesso arriva il presidente di uno dei paesi fondatori dell'Ue, che solo pochi mesi fa disse: «Una soluzione equa, soddisfacente per tutte le parti e duratura, della questione israelo-palestinese è essenziale per le prospettive di sviluppo e stabilità dell'intera regione.

L'Europa ha sempre espresso una sua particolare vocazione all'amicizia con gli Stati e i popoli arabi».

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