La narrativa sarda sbarca in continente

Nella regione 45 case editrici che pubblicano 250 titoli l’anno

«L’atteggiamento della stampa in genere mi sembra un po’ avaro nei confronti della mia casa editrice, Il Maestrale. Gli autori che compongono la “nuova narrativa sarda” qui sono tutti di casa, quando non vi sono addirittura nati e cresciuti: Marcello Fois, Salvatore Niffoi, Giorgio Todde, Alberto Capitta, Flavio Soriga, Giulia Clarkson, Gianni Marilotti, Luciano Marrocu, Giulio Angioni, Maria Giacobbe, Aldo Tanchis... Dietro questa fortunata stagione narrativa c’è il lavoro della nostra piccola bottega d’artigianato editoriale». A parlare è Giancarlo Porcu, direttore editoriale de Il Maestrale, ma anche filologo e critico letterario. Forse deluso perché Antonio D’Orrico, nelle tre pagine dedicate a Salvatore Niffoi «scrittore da leggenda» sul Magazine del Corriere della sera non ha nemmeno nominato il marchio, se non come un generico «editore nuorese» presso il quale Niffoi pubblicava prima di firmare con Adelphi («e presso cui pubblicherà ancora - precisa Porcu - Niffoi ha un libro in preparazione anche per noi»). Certamente stupito perché nel lungo reportage dedicato dallo Specchio al «rinascimento» sardo un paio di settimane fa, si sfoderano i dati Istat secondo cui esistono 45 case editrici regionali per un totale di 250 titoli l’anno e si elencano tutti i narratori citati da Porcu per dimostrare che «la cultura sarda ha varcato i confini dell’isola con i suoi scrittori di punta», ma anche qui Il Maestrale viene liquidato come «editore piccolo ma aggressivo e con fatturati in crescita».
Mentre secondo Porcu è dal Maestrale che è partito tutto, sette anni fa: «Fu Sempre caro, il libro di Marcello Fois da noi pubblicato nel ’98, a fare da apripista a questa nuova scuola di narrativa nata e cresciuta editorialmente in Sardegna. Sempre caro, prima avventura dell’eroe seriale Bustianu, non ha soltanto passato il guado verso una dimensione nazionale, è stato anche tradotto in più di dieci lingue, seguito da Lo stato delle anime, l’inquietante storia dell’imbalsamatore Efisio Marini, di Giorgio Todde. I due spesso passano soltanto per autori che vendono un po’ più degli altri, mentre hanno un ruolo storico determinante». Ruolo di cui i due sono consapevoli, tanto da diventare i fondatori del primo festival letterario internazionale della Sardegna, «L’isola delle storie», che si svolge a Gavoi, piccolo paese di montagna della Barbagia che l’estate scorsa per la prima edizione si vide piombare addosso 15mila presenze (si replica dal 1º al 3 luglio di quest’anno).
Il Maestrale, nata nel 1992 grazie all’iniziativa di due librai, Giuseppe Podda e Raffaele Casula, a Nuoro, città di Grazia Deledda e Salvatore Satta, in pochi anni è diventata una fucina di talenti. I già citati Fois, nuorese trapiantato a Bologna, e Todde, medico cagliaritano, sono ormai scrittori affermati, il primo con una spiccata predilezione per l’indagine sociale e la realtà storica, il secondo più visionario, inquietante. Fois pubblica anche per Einaudi (anche se ha voluto conservare le indagini ottocentesche di un eroe a metà tra fiction e realtà, Bustianu-Sebastano Satta, per Il Maestrale), ambedue pubblicano in coedizione Il Maestrale-Frassinelli, idea di Carla Tanzi, direttore editoriale Sperling&Kupfer, per garantire ai sardi doc il salto distributivo. Idea fortunata se l’ultimo ad approfittarne, Alberto Capitta, cinquantenne sassarese scrittore di teatro e già autore di Il cielo nevica per Guaraldi, al suo esordio con Il Maestrale-Frassinelli entra tra i finalisti dello «Strega» grazie a Creaturine, storia di due orfani, dall’adolescenza alla maturità, ma soprattutto barocca cattedrale all’uso della lingua.
L’ispirazione a personaggi realmente esistiti o a eroi quotidiani della propria terra, la vena gialla o noir, l’attenzione alla lingua: sono alcune delle caratteristiche che distinguono i narratori sardi di nuova generazione. Soprattutto la ricerca sulla lingua e sulla potenzialità espressiva che scaturisce dalla multiculturalità sarda conferisce originalità alle nuove produzioni. Non solo quelle che hanno ricevuto l’imprimatur del Maestrale, come i romanzi a sfondo metropolitano-cagliaritano di Francesco Abate (Il cattivo cronista, Ultima di campionato); come I diavoli di Nuraiò, particolare esercizio di ritmo linguistico con cui Flavio Soriga (poi passato a Garzanti con Neropioggia) vinse nel 2000, a 25 anni, il «Calvino», vinto poi anche da Gianni Marilotti con un altro Maestrale, La quattordicesima ora, storia di Sardegna e lotta armata; come il mondo scomparso di pescatori di laguna ricostruito da Giulia Clarkson ne La città d’acqua o come i Pesi leggeri di Aldo Tanchis, da cui Enrico Pau trasse un paio d’anni fa un film tra il poetico e il documentario sul mondo dei pugili cagliaritani. La lingua salvata anche quando si lascia la Sardegna per la Danimarca, come ha fatto la nuorese Maria Giacobbe, classe 1928, indimenticata autrice de Il diario di una maestrina (Laterza, 1957), ripubblicato di recente dal Maestrale così come Le radici del 1975; o per gli Usa, come Paolo Cherchi, docente alla university of Chicago per quarant’anni, ora in libreria con Erostrati e astripeti.
La lingua rimane l’elemento vitale anche per Milena Agus, il cui romanzo d’esordio, Mentre dorme il pescecane, esce oggi per Nottetempo («Milena aveva spedito il manoscritto anche a noi, ma siamo stati battuti sul tempo», precisa Porcu). Saga familiare in miniatura, ambientata alla Marina di Cagliari, quartiere popolare di pescatori e bottegai, è una sorpresa narrativa dal linguaggio straniante e fresco, tra poesia e understatement.
Così come il recupero dei valori della lingua segnò l’opera di Sergio Atzeni, di cui ricorre il decennale dalla prematura scomparsa in mare. Decennale celebrato alla Fiera di Torino con un commosso ricordo e dal Maestrale con la pubblicazione, a settembre, del corpus completo della produzione giornalistica e di una serie di racconti inediti: I sogni della città bianca.

E ancora la ricerca sulla lingua, né sardo italianizzato, né italiano sardizzato, ma «espressione della libertà di un bilingue che nega l’autorità assoluta delle due lingue e ha il coraggio di disobbedire a entrambe», come scrisse Milan Kundera a proposito di Patrick Chamoiseau, il creolo che proprio Atzeni tradusse per primo in Italia, si è rivelata uno degli elementi che accomuna la Sardegna all’Europa e l’Europa alle nuove mappe culturali internazionali. Tanto che a Torino, interrogato sulla sua vera appartenenza linguistica, il martinicano Chamoiseau non ha esitato a definirsi «sardo».

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