Naso chiuso e starnuti? È allergia all’ufficio

Claudia Caselli

«Sono allergico al lavoro». Affermano otto lombardi su cento. Questa volta la colpa non è dello stress, della stanchezza o del sonno, l’unico imputato è la rinite. Si tratta di una malattia dal nome poco conosciuto ma dai sintomi molto comuni. I più frequenti sono: starnuti, congestione nasale, meglio definita come «naso chiuso», naso che gocciola con fastidiosi pruriti e lacrimazione degli occhi.
Tutta colpa del lavoro e della scuola. È stata condotta un’indagine da Gfk-Eurisko, su un campione di studenti e lavoratori del terziario, dalla quale emerge che il 95% dei luoghi di lavoro e studio viene considerato fonte di pericoli per chi è allergico. Il dato è ancora più allarmante se si pensa che in quegli spazi si trascorre la maggior parte del proprio tempo. Il fattore scatenante di tutti i fastidi dell’allergia cronica è sicuramente la polvere in tutte le sue forme. Ad esempio le comode poltroncine in tessuto che tutti vorrebbero alla propria scrivania sono eccezionali contenitori di acari, lo stesso discorso vale per tendaggi importanti e tappeti pregiati. Anche gli edifici storici sono causa di gravi disturbi allergici, tanto da essere considerati «sick building», costruzioni malate. Come se non bastasse, ad aggravare la situazione, si aggiungono la presenza di muffe, dovute all’eccessiva umidità, la scarsa pulizia, la presenza di condense sulle finestre, piuttosto che finestre non apribili, che impediscono la circolazione dell’aria. Infine si registra l’alta concentrazione di persone come condizione di rischio allergia in forte incremento. Situazione riscontrabile nei nuovi ambienti di lavoro open-space e soprattutto nelle sempre più affollate aule scolastiche.
Le conseguenze di una simile situazione sono allarmanti sia per i lavoratori, costretti ogni mattina a starnuti e fiato corto, sia per i datori di lavoro. È infatti constatato dall’indagine che chi soffre di allergia ha una diminuzione della propria capacità produttiva del 30%, che si traduce nella perdita di due o tre giornate lavorative nell’arco di un anno, sicuramente gravose per le aziende.
La prima soluzione, richiesta ai dipendenti, è ammettere di essere affetti da una malattia respiratoria, come afferma il Presidente di Federasma, Filippo Tesi e cercare le terapie migliori per il proprio specifico problema. La ricerca in questo settore ha fatto passi da gigante, varando i cosiddetti «antistaminici di seconda generazione», che non provocano la fastidiosa e infruttuosa sonnolenza.

Mosso questo primo passo, il successivo, da parte dei datori, è quello suggerito da Mauro Calzolari, componente Area respiratoria della Società italiana di medicina generale: associare alle cure un approccio sull’ambiente. Non intervenire sulle aree lavorative piuttosto che scolastiche significa non ottenere risultati di miglioramento e ostacolare l’effetto dei farmaci che rischiano di diventare del tutto inutili e inefficaci.

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