La Nato chiede rinforzi, Prodi si tappa le orecchie

I comunisti di Diliberto preparano una mozione parlamentare: deve essere chiaro che dobbiamo sganciarci dalle iniziative belliche americane

Emanuela Fontana

da Roma

La Nato vuole i cacciabombardieri italiani. Più uomini e soprattutto più mezzi. Il segretario generale dell’Alleanza atlantica, l’olandese Jaap de Hoop Scheffer, l’ha chiarito attraverso le colonne del Corriere della Sera ma anche di persona, dopo l’incontro avuto venerdì con il premier Romano Prodi e con il ministro degli Esteri Massimo D’Alema. E per il leader dell’Unione si apre ora un difficile fronte interno. Da una parte le pressioni della Nato, dall’altra quelle della sinistra radicale, che ieri ha minacciato le barricate qualora la presenza italiana in Afghanistan fosse rafforzata.
L’impegno del precedente governo, con il ministro Antonio Martino, era stato quello di fornire sei Amx dotati di armi a guida laser in sostituzione di altrettanti F-16, oltre a uomini della finanza a Herat e almeno un distaccamento misto per la caccia ai latitanti talebani.
De Hoop Scheffer è arrivato in Italia per salutare il nuovo governo, come da prassi per i cambi di esecutivo dei Paesi membri della Nato. Ma anche per conoscerne le intenzioni: «Abbiamo discusso di cosa il vostro governo potrebbe fare in più. Se parliamo di aerei, ce ne servono di più. Sempre».
Non è un caso se ieri una parte del governo (lo stesso D’Alema, Francesco Rutelli) si sia mantenuta generica sulla presenza italiana in Afghanistan, mentre dichiarazioni preoccupate sono arrivate da comunisti italiani e verdi. «Nessuno strumento di guerra partirà dall’Italia», chiarisce il responsabile esteri del Pdci, Iacopo Venier. Il Pdci preparerà una mozione parlamentare «che chiarisca che in Afghanistan si opererà una svolta radicale sganciandoci da ogni supporto alle iniziative belliche Usa».
Ma D’Alema, senza entrare nel dettaglio, parla di «una discussione già avviata con gli alleati», a cominciare «dal segretario della Nato» sui problemi dell’Afghanistan. E chiarisce che Irak e Afghanistan sono «contesti diversi, sia sotto il profilo politico che sotto quello giuridico. In Afghanistan c’è l’Europa, c’è la Nato». Parole che non sono una risposta a chi è contrario a qualsiasi rafforzamento del contingente: «Nessuno si sogni di mettere in atto un macabro gioco dei quattro cantoni - avverte il capogruppo del Pdci al Parlamento europeo, Marco Rizzo -. Il ritiro dall’Irak non può avere come corollario l’invio o il potenziamento di truppe italiane in Afghanistan».
Dal ministero della Difesa si fa trapelare che «per il momento l'impegno dell'Italia in Afghanistan non cambia» e che la linea è quella chiarita dal ministro Arturo Parisi a Bruxelles dopo gli incontri Nato: «In Afghanistan l’Italia continuerà a svolgere il suo impegno in continuità con il passato». Ma proprio nel più recente passato era stato garantito il rafforzamento della presenza italiana, anche con gli Amx.
Se i comunisti italiani si preparano a portare il «casus belli» dell’Afghanistan, oltre che dell’Irak, in Parlamento, il ministro per i Beni culturali Francesco Rutelli ha risposto al primo punto nella sua relazione all’assembla federale Dl, sottolineando che «non si mette in discussione la nostra presenza in Afghanistan». Una terra che «ci ricorda che il fondamentalismo terrorista esiste ed è una minaccia attuale. È impensabile la creazione di nuovi problemi alla comunità internazionale, ed è impensabile una fuga dai problemi». I problemi però saranno soprattutto interni, e il segretario Nato sembra esserne a conoscenza: «Se mi domandante se voglio più truppe e forze speciali, come segretario generale dico: sì, certo - ha dichiarato al Corriere De Hoop Scheffer -. Ma mi tengo fuori dal dibattito italiano».
Dibattito già piuttosto infervorato. I verdi mettono in guardia: chiedono, spiega il sottosegretario all’Economia Paolo Cento, che «sulla missione in Afghanistan e sulla sua natura vi sia all’interno del governo del centrosinistra la riapertura di una discussione politica».

Minimizza il neopresidente della commissione Esteri in Senato Lamberto Dini: «È il governo che deve decidere, ma non mi pare che nella maggioranza ci siano proposte di allentamento della nostra presenza in Afghanistan».

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