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Ecco come il Veneto si è salvato dalle alluvioni: in Emilia-Romagna il sistema non funziona

Quanto accaduto in Emilia-Romagna ha riportato alla memoria la tempesta Vaia che colpì il Veneto con più del doppio della pioggia caduta: ecco perché quell'alluvione non ha provocato gli stessi disastri

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La disastrosa alluvione che ha colpito l'Emilia-Romagna allagando interi Comuni a causa dello straripamento di decine e decine di fiumi e torrenti con intere aree allagate grandi svariati km quadrati è nata dai 300 mm di pioggia, alla fine dell'evento, caduti nelle zone più disastrate. La quantità, per la Regione, è impressionante ma si tratta della metà di acqua caduta dal cielo quando la tempesta Vaia, nel 2018 in Veneto, provocò accumuli piovosi di 700 millimetri, ossia 700 litri d'acqua per metro quadrato. Eppure, in quell'occasione, non si assistette alla devastazione emiliana e romagnola, come mai?

Perché il Veneto si è salvato

Quando si parla di eventi eccezionali la differenza viene fatta dalle infrastrutture: nel 2010 il Veneto subì una devastante alluvione tra le province di Padova e Vicenza e, da quel momento, ci si rimboccò le maniche per mettere in piedi opere contro il maltempo più estremo ed evitare che si potesse ripetere una devastazione simile che mise sott'acqua un'area grande 140 km quadrati. Per la realizzazione delle grandi opere tra cui i bacini di laminazione, ossia quelle aree destinate al surplus di acqua che viene momentaneamente "parcheggiata" senza che possa creare danni, furono spesi tre miliardi e mezzo di euro ma oggi la zona è in sicurezza.

"Finora abbiamo completato 5 bacini, investito 400 milioni in opere di consolidamento, 320 milioni in opere di manutenzione. E siamo solo a metà. Già oggi, però, possiamo dire che c’è stata una svolta importante. Lo testimoniano gli eventi impattanti del 2018, 2019 e 2020", ha spiegato al Corriere della Sera Giampaolo Bottacin, assessore all’ambiente e Protezione Civile del Veneto. Come detto, la tempesta Vaia fu un caso eclatante: fosse capitata altrove chissà cosa ne sarebbe stato dei 700 mm caduti. È vero che migliaia di alberi furono abbattutti (venti da uragano), le frane complessive superarano quota 100 ma la conta dei danni fu nettamente inferiore a quanto accaduto nel 2010 con un'alluvione meno devastante di Vaia.

Cosa non ha funzionato in Emilia-Romagna

L'attualità, purtroppo, ci ha consegnato un'Emilia-Romagna che non era pronta a un evento del genere: 22 corsi d'acqua su 23 sono usciti dai propri argini con le immagini che tutti noi abbiamo ben presenti davanti agli oggi. Anche se la Regione ha provato a costruire casse di contenimento che hanno la funzione di fare defluire le acque dei fiumi una volta raggiunta la piena per non farli esondare, numerosi cantieri sono ancora tanto lontani dall'essere completati. Il quotidiano ricorda che negli ultimi sette anni sono stati stanziati quasi 200 milioni di euro per realizzare 23 bacini ma soltanto la metà possono considerarsi finiti e completati.

Se è vero che la siccità compatta i terreni e non assorbe facilmente grandi quantità di acqua, è pur vero che se viene ridotto il suolo destinato all'agricoltura (la terra) con cemento e costruzioni, l'acqua non ha più dove andare.

Da questo punto di vista, l'Emilia-Romagna è al quarto posto in Italia (9%) dietro, paradossalmente, allo stesso Veneto ma dove, però, le altri grandi opere sono state in grado di fare la differenza.

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