
Lo scandalo delle mascherine farlocche e sdoganate in spregio alla legge durante la primissima parte della pandemia Covid si arricchisce di nuove testimonianze choc alla commissione d’inchiesta. Ieri a parlare è stata la dottoressa Maria Preiti, direttrice territoriale della Lombardia dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Nel corso di una durissima audizione durata 4 ore, davanti a documenti e foto, la dirigente non ha potuto far altro che confermare ciò che era stato già detto in commissione: le Dogane hanno consapevolmente sdoganato mascherine con marcatura CE illegale solo perché validate da Cts, attraverso delle interlocuzioni dirette tra funzionari doganali e Direzione di Adm. Peraltro la Preiti ha anche sottolineato come nonostante fossero farlocche non siano ancora stati recuperati Iva e dazio non pagati, pari ad almeno 288 milioni di euro.
Nei giorni scorsi il capo della Protezione civile Fabio Ciciliano, durante il Covid componente del Comitato tecnico scientifico, ha candidamente affermato che le mascherine provenienti dalla Cina e risultate inidonee non solo sarebbero state pagate con soldi pubblici in anticipo, ma sarebbero state fatte circolare solo grazie a un controllo di idoneità da parte del Cts il 18 maggio 2020. Ma su alcune mascherine pendevano dei pareri negativi (emessi anche settimane prima) rispetto alla loro idoneità per la presenza di marchi contraffatti. Eppure le stesse mascherine sarebbero state già pagate. A spingere per lo sdoganamento nonostante l’evidente contraffazione sarebbe stata la struttura commissariale, che avrebbe inviato al Cts mascherine con marchio inidoneo secondo la validazione di Iss e Inail, perché accompagnate da certificati rilasciati da enti non accreditati (come Ecm o Icr), sostenendo che sarebbe bastata solo un’integrazione documentali ai fini della loro validazione. «In realtà avrebbe dovuto segnalarle all’autorità giudiziaria», aveva detto subito dopo l’audizione la parlamentare Fdi Alice Buonguerrieri.
A quanto risulta al Giornale, nessuno degli enti (Cts, Inail, Iss, commissario all’Emergenza Covid) avrebbe mai sporto alcuna denuncia contro i fornitori ex articolo 331 del Codice di procedura penale, in quanto «pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio» che (ex articolo 347) «avendo notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia al magistrato o alla polizia giudiziaria per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito, senza ritardo». «Su tutto questo continueremo a fare chiarezza», ribadisce la delegazione Fdi. Si tratta in qualche caso di mascherine successivamente sequestrate, di cui il Giornale dispone di documentazione fotografica. A Gorizia per esempio sono state poste sotto sequestro delle mascherine destinate alla struttura commissariale che hanno tutte impresse illegalmente sia la marcatura CE sia i simboli Ffp2 e Ffp3.
A certificarle è una scritta sovraimpressa sulla busta azzurra, il numero è 1282. L’ente notificato delle certificazioni è Ecm. Il Cts si sarebbe limitato a una presa d’atto di questa marcatura considerata illegale dalle forze dell’ordine che poi hanno sequestrato il materiale. Come è opportuno ricordare, alla struttura commissariale, al Cts e al governo le stesse Dogane avevano fatto recapitare una short list di acquirenti affidabili, che Arcuri ha ignorato.
Come il Giornale scrive da sempre, questi dispositivi sostanzialmente inutili se non dannosi sarebbero stati comunque distribuiti a poliziotti, medici e infermieri. L’alto tasso di malattia e morbilità dei nostri eroi nonostante due lockdown, obbligo vaccinale e riaperture a macchia di leopardo (colpa anche delle Regioni in ordine sparso) potrebbero esserne l’effetto mefitico di aver lasciato milioni di persone circolare con mascherine che non filtravano, come soldati mandati in guerra con giubbotti antiproiettile di cartone.
Non la pensa così Alfonso Colucci, deputato del Movimento 5 Stelle e membro della Commissione d’inchiesta sul Covid, secondo cui Fdi si arrampicherebbe sugli specchi perché siccome «tutte le mascherine importate dalla Cina sono state dichiarate idonee dal Comitato tecnico scientifico» allora «potevano essere distribuite alle strutture sanitarie senza rischi per gli operatori e i pazienti», mentre i pagamenti anticipati erano «misure eccezionali per tempi eccezionali».
Peccato che Colucci, nonostante durante le audizioni sia stato ribadito più e più volte, finge di non comprendere come non spettasse al Cts la validazione di mascherine bocciate dall’Inail o dall’Iss e che questo escamotage sia servito per favorire i fornitori cinesi e arricchire gli intermediari. Che anche Colucci sia uno dei «ventriloqui» dall’ex commissario all’emergenza Covid Domenico Arcuri? Plausibile. L’altro giorno a essere accusata di assumere informazioni privilegiate da Arcuri era stata la senatrice toscana del Pd Ylenia Zambito, una delle più agguerrite sostenitrici del governo di Giuseppe Conte e Roberto Speranza. Chi ha ascoltato le audizioni sa che ogni volta che qualcuno mette in dubbio l’operato del governo giallorosso sulle mascherine lei prova a demolirne la credibilità. È stata lei un mesetto fa ad ammettere candidamente di «aver sentito la struttura commissariale» e di «essersi fatta mandare del materiale», ovvero una mail privata e riservata tra la struttura e il rappresentante della Peristegraf srl Antonio Boccia, audito in quel momento.
Perché Pd e M5s difendano l’operato del governo è plausibile comprenderlo, fare
spallucce su chi ha messo a repentaglio la salute degli italiani non è fare politica ma assecondare un vergognoso scandalo di affari miliardari e accordi indicibili su cui la magistratura non ha (ancora) fatto piena luce.