
È il 7 agosto 1941, nel pieno della seconda guerra mondiale, quando Bruno Mussolini, 23 anni, figlio del duce e di Rachele Guidi, si schianta su un campo di granoturco a Pisa, mentre pilota un aereo militare. Perde la vita durante un volo di prova insieme al tenente pilota Francesco Vitalini Sacconi e al maresciallo motorista Angelo Terzini. La causa? In fase di atterraggio, i motori del velivolo subiscono un brusco calo di potenza, fino a farne terminare la corsa. Poco prima dello schianto, il giovane Mussolini sembra intuire l'imminente tragedia, tant'è che stacca i contatti elettrici per evitare un incendio, e riesce a spingere il velivolo lontano dalle abitazioni sottostanti.
La passione per il volo
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il pilota viene assegnato al quarantasettesimo Stormo Bombardamento Terrestre di Grottaglie, in provincia di Taranto e, nel giugno del 1941, trasferito al quarantaseiesimo Stormo, a Pisa, dove perderà la vita alla guida del quadrimotore pesante da bombardamento, il Piaggio P.108B, progettato in Italia. La sua morte è un duro colpo per tutta la famiglia Mussolini. Il padre Benito, appresa la tragica notizia, raggiunge immediatamente l’ospedale Santa Chiara di Pisa, dove trova il figlio già privo di vita. Il terzogenito era per il duce più che un figlio, amato e stimato per il coraggio e la passione con cui affrontava la vita, anche in tempi di guerra, tant’è che nel libro "Parlo con Bruno", il duce raccoglie parole colme di affetto e dolore per ricordare l’ultimo periodo di vita del terzogenito. Ne viene fuori un ritratto struggente del giovane, definito dal padre come schivo, coraggioso e “che aveva le ali”. Un ricordo di un padre affranto, lontano dalla figura autoritaria e pubblica.
Lo sconforto dei familiari
Tra le pagine di quel libro non mancano alcuni interrogativi del padre. "Resterà un mistero perché non uno dei quattro motori abbia risposto al tuo comando", scrive Benito Mussolini. Secondo alcune voci, a quel tempo, infatti, l'uomo appare dilaniato dal dubbio e dal timore che qualcuno abbia potuto provocare la morte del figlio, ma la Procura non apre alcun fascicolo e non vengono mai fatti riferimenti a sabotaggi o attentati.
A ciò si aggiunge un inquietante racconto fatto dal secondogenito di casa Mussolini, Vittorio, che a quel tempo riferisce che il giorno della tragedia, Bruno, prima di salire sul velivolo, racconta al fratello di aver fatto uno strano sogno: si trovava a Mosca, invitato da Stalin in un Cremlino di legno, somigliante a una grande cassa. Un presagio, dunque, impresso nella mente di Vittorio.