«La strage di Sidney ci preoccupa ma purtroppo non ci sorprende. La sinistra ha ceduto all’antisemitismo e all’Islam più violento in cambio di voti». Il capo della Comunità ebraica Walker Meghnagi esce dalla sinagoga di Milano, si vota per il rinnovo delle cariche: dopo quattro anni alla guida si è ricandidato per un doppio incarico, alla presidenza della Milano ebraica, con la lista Beyahad – Insieme Uniti per il Futuro e al Consiglio dell’Ucei, con l’omonima lista. «Dopo il 7 ottobre il clima contro di noi è peggiorato».
Anche in Italia stiamo assistendo all’embrione del «partito di Gaza»?
«È in corso una saldatura tra la sinistra e la parte più violenta dell’Islam. Lo abbiamo visto dal provvedimento contro l’antisemitismo bloccato dal Pd, persone come l’onorevole Francesco Boccia l’hanno bloccato senza neanche averlo letto. Basta vedere cosa scrivono sui social alcuni consiglieri, comunali o regionali del Pd. Aizzare l’antisemitismo non danneggia solo noi, danneggia tutto il Paese».
C’è un rischio escalation anche in Italia?
«Non vedo segnali, non abbiamo noi avvisaglie come comunità. Sappiamo che le forze dell’ordine sono fantastiche, sempre con noi. Ovunque, nelle sinagoghe e nelle scuole, nei luoghi di ritrovo, nelle mense. Ma nell’ultimo anno e mezzo c’è stata almeno una intimidazione contro di noi e una manifestazione proPal a settimana. A volte se la prendono coi ragazzini, certe volte non le denunciamo neppure... Ma noi non ci fermiamo, non abbiamo paura e non ci faremo condizionare».
In queste ore si vota per il rinnovo del Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. A Milano saranno eletti 17 consiglieri per il nuovo Consiglio della Comunità e 10 delegati al Consiglio Ucei.
«Spero ci sia un’alleanza tra le varie anime Ucei che si presentano, serve una nuova alleanza e serve un nuovo modo di vedere e di governare, uniti, questi anni che abbiamo davanti».
Che cosa servirebbe?
«Bisogna stare molto più vicino anche alle 15, 17 piccole comunità, che hanno bisogno della nostra presenza. Servono più scambi e più dialogo, anche in Europa».
Esiste un’Islam moderato con cui discutere?
«C’è, ma non ha la forza di andare contro Hamas e i violenti».
Che ne pensa del piano di Donald Trump per il Medioriente?
«Lo trovo fantastico, ottimo per incominciare.
L’hanno firmato anche in Indonesia, il più grande paese musulmano con 500 milioni di fedeli. Hamas deve considerare le armi all’Arabia Saudita o all’Egitto ma il mondo arabo ha paura di affrontarli. Hanno la forza di farlo, ma non il coraggio».