Gli esodati della giustizia: l'avvocato è un lusso per 3 milioni di famiglie

Troppo ricchi per il patrocinio gratuito ma troppo poveri per pagare le parcelle. Allo studio una norma per estendere il beneficio: "Almeno uno su 5 rinuncia al tribunale"

Gli esodati della giustizia: l'avvocato è un lusso per 3 milioni di famiglie
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Fanno fatica a tirare la fine del mese, rimandano l’apparecchio dei denti per i figli, non vanno in vacanza. Figuriamoci se si possono permettere le parcelle dell’avvocato. Le famiglie che traballano e campano con un’entrata mensile di 1.100 euro sono 3 milioni e tra queste almeno 600mila rischiano di dover rinunciare a difendersi, anche quando hanno subìto un torto grave. Sono troppo ricchi per poter accedere al patrocinio gratuito (che viene concesso a chi ha un reddito lordo di 12.838 euro) ma troppo poveri per permettersi un’azione legale, o almeno per anticiparne le spese vive che - in cause con risarcimenti fra i 52mila e i 260mila euro - possono arrivare a 5mila euro, tra bolli, perizie e notifiche.
Tra gli esodati della giustizia ci sono persone che hanno avuto infortuni gravi sul lavoro ma che non osano intentare una causa contro il capo, pazienti vittime di errori medici che non hanno i mezzi per andar contro i big della sanità o delle assicurazioni, famiglie che trovano più conveniente tacere e convivere con avvilimento e torti subiti. Perché la giustizia diventa un lusso e quel diritto a difendersi, definito «inviolabile» nella Costituzione, resta lettera morta.
Per dare una risposta a questa «zona grigia» della giustizia, è in corso d’opera una modifica sulla legge, innanzitutto per rivedere i parametri del patrocinio gratuito e rendere i tribunali realmente «uguali per tutti». A promuovere il nuovo provvedimento è Chiara Tacchi, studio Tacchi & Tosini di Gallarate, autrice del libro «La giustizia degli ultimi», che ha già preso contatti con la Commissione giustizia in Parlamento. Ad appoggiarla è anche l’associazione degli avvocati Pro Bono, presieduta da Giovanni Carotenuto, che già da tempo si sta occupando di importare la cultura dell’avvocatura pro bono in Italia, a supporto dei fragili: «Abbiamo già redatto le linee guida per la gestione del pro bono in team misti di avvocati e giuristi d’impresa e ci rifacciamo al modello anglosassone dove gli studi legali che si prestano all’assistenza legale senza parcella sono molti». In Italia ce ne sono una cinquantina e si spera aumentino perché nessuno rimanga senza giustizia. Al momento lo Stato rimborsa con 20 milioni di euro gli avvocati che prestano patrocinio gratuito ma si ipotizza anche di rivedere questa cifra per poter ampliare la buona pratica. Di questo e altri aspetti si discuterà il 22 novembre a Milano in occasione della sesta edizione dell’Italy Pro bono day.
«È intollerabile pensare ci siano persone che non si sentano legittimate a difendere i propri diritti. Vogliamo che la difesa sia accessibile e inclusiva» spiega Chiara Tacchi. L’occasione per avviare la riflessione che presto si tradurrà in legge è la presentazione del suo libro a Book city (Milano): una raccolta di casi seguiti in questi anni che testimoniano quanto la vita di una persona possa stabilizzarsi e cambiare se viene appagato il suo diritto alla giustizia. Un elemento fondamentale perché in Italia l’accesso al pro bono funzioni è il volontariato.
Le associazioni vicine alle famiglie in difficoltà (o potenziale difficoltà), se ben preparate, possono essere il tramite giusto per mettere in contatto clienti e avvocati e promuovere la cultura di una giustizia realmente accessibile.


«L’emergenza dei diritti riguarda non più solo gli ultimi, ma i penultimi - sostiene Alessandro Pezzoni, servizio Grave emarginazione di Caritas - Sono quelle famiglie a cui basta un problema di lavoro per crollare. Metterle in grado di far fronte a un’ingiustizia è garanzia di equità sociale». E di democrazia.

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