Show doveva essere e show è stato. Tutti i crismi della data zero dello spettacolo giudiziario dell’anno sono stati rispettati: il teatro da tutto esaurito, il set cinematografico, i riflettori di un Paese intero puntati su un’unica aula di tribunale, il divieto di riprendere i protagonisti - i quali nomi a nulla richiamano se pronunciati singolarmente - che ne acuisce la morbosità.
E poi il pubblico delle grandi occasioni: i curiosi, gli interessati e gli studiosi. Gli innocentisti e i colpevolisti. C’è anche la sorpresa: al Palazzo di Giustizia di Brescia arriva Azouz Marzouk, padre del piccolo Youssef e marito di Raffaella, che ancor prima di entrare solletica le aspettative di chi cercava nuove dichiarazioni e si lascia andare stretto in mezzo a un capannello di giornalisti e operatori: «Sto facendo questa lotta per tutti. Stiamo ottenendo una parte di rivincita, loro sono innocenti, giustizia non è stata fatta».
Una frase che ha subito generato uno scontro a distanza col fratello di Raffaella, Giuseppe Castagna: «Una frase offensiva per le vittime ma anche per noi che in questi anni abbiamo difeso la verità». E poi l’attacco al marito della sorella morta, che nei primi tempi riteneva Olindo e Rosa responsabili della mattanza ma che da tempo ha cambiato posizione: «In tutta la sua vita, prima e dopo la strage, Azouz ha sempre e solo lottato per se stesso. Prima ha lasciato sola Raffaella ad affrontare i vicini e a difendere suo figlio, dopo ha lottato per monetizzare al meglio il suo status di vittima».
Ma la giornata di ieri - per lunghi tratti distopica, dentro e fuori le mura del tribunale - comincia ben prima, precisamente all’alba: non è ancora giorno quando davanti all’ingresso si forma un serpentone di persone. Mancano ancora ore all’inizio dell’udienza che deve stabilire se riaprire il processo ma sono decine ad accorrere per guadagnarsi un posto d’onore.
Tutti vogliono vedere Angela Rosa Bazzi e Olindo Romano, osservarli in ogni movimento, leggerne i labiali e la gestualità, anche solo vedere gli abiti che indossano. Delle vittime sembra quasi non ci si ricordi più. È la morbosità, bellezza. Dentro c’è il set, con oltre 50 tra giornalisti e operatori di testate provenienti da tutto il Paese e dall’estero e altrettanti arrivati dal Nord Italia per assistere al processo come pubblico. Fuori c’è il contorno: chi ha preso le ferie dal lavoro, chi sfrutta la pausa pranzo per dare almeno uno sguardo al circo mediatico, chi viene attirato dalla folla in un effetto domino del no-sense.
Qualcuno scatta dei selfie, altri riescono pure ad intrufolarsi nella sala polifunzionale dov’è allestito un maxi schermo per seguire in diretta cosa accade nell’aula 67. Ma quando comincia l’udienza, cala il silenzio. Nel «Forum» dell’orrore non partono contestazioni, applausi, non ci sono atti clamorosi.
Solo alla fine si sussurra: molti, più di 17 anni dopo la strage di Erba, propendono per l’innocenza dei coniugi - in barba alle dichiarazioni che nel frattempo procuratore generale e avvocato dello Stato hanno già rilasciato. Un horror show al sapor di cinismo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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