Nessuna pietà per Sergio Ramelli. Cesena dice no a un giardino in suo onore il giorno dell’anniversario

Bocciata una mozione di Fdi. Non c’è pace per il giovane missino

Nessuna pietà per Sergio Ramelli. Cesena dice no a un giardino in suo onore il giorno dell’anniversario
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Poteva essere l’occasione per fare finalmente i conti col passato. Per dire che gli anni Piombo, anni bui dove ci si confrontava con le pallottole e con le molotov, erano finalmente chiusi. Che questo 29 aprile, il cinquantesimo anniversario della morte di Sergio Ramelli, poteva davvero rappresentare una svolta. Ma così non è stato. La maggioranza di centro sinistra di Cesena ha infatti bocciato una mozione presentata da Nicholas Pellegrini (Fdi) attraverso la quale si chiedeva di intitolare un giardino al giovane missino massacrato a sprangate il 13 marzo del 1975 e morto dopo 47 giorni di agonia.
La motivazione, portata avanti dalla maggioranza, è che si vuole evitare che in città siano presenti luoghi dove nostalgici possano ritrovarsi a fare saluti romani e dove possano esserci rigurgiti fascisti. Una scusa, più che una motivazione vera, visto che oltre trenta città in Italia - premiate ieri dall’assessore alla cultura di Regione Lombardia Francesca Caruso a Milano durante l’evento “Le idee hanno bisogno di coraggio” in onore di Sergio Ramelli - hanno già deciso di intitolare una via al giovane missino senza che succedesse alcunché. Senza che nessuno alzasse il braccio quando entrava nella via. Senza che nessuno si mettesse a cantare “Faccetta nera” o altre idiozie simili. Anche perché, ed è bene ricordarlo, Ramelli era nato nel 1956. Undici anni dopo al fine della guerra. L’anno, ad essere precisi, in cui i carri armati sovietici reprimevano nel sangue la rivolta di Budapest. Sergio non era una fascista perché gli anni in camicia nera non li aveva vissuti. Era di destra, certo. Aveva scelto la parte sbagliata della storia. Ma lo aveva fatto consapevolmente. Conscio di mettere a repentaglio anche la sua stessa vita pur di difendere la verità. La sua sua verità, si dirà. Ma non è forse questo che la democrazia dovrebbe essere? Il luogo in cui ognuno è libero di pensare e dire ciò in cui crede? Sergio lo fece. Parlò male delle Brigate rosse quando tutti, per paura, preferivano tacere e guardare altrove. Sergio lo fece perché era libero. Gli è costato la morte.
E non si tratta, come è stato detto, di voler riscrivere la storia. Si tratta semplicemente di comprenderla. Perché è troppo facile dire che i buoni era tutti da una parte e i cattivi dall’altra.

Perché ci sono stati ragazzi innocenti neri, morti ingiustamente (ammesso e non concesso che una morte violenta possa mai esser giusta) come ce ne sono stati tra i rossi. Ricordarli entrambi è, prima che un atto di giustizia, un atto di pietà. Che viene prima della politica. Che dovrebbe superarla, perché l’uomo viene prima della città. Ma così questa sera non è stato a Cesena.

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