"Sparerei di nuovo?". La confessione di Massimo Zen, il vigilantes graziato da Mattarella

A Quarta Repubblica parla Massimo Zen, la guardia giurata che ha ricevuto la grazia da Sergio Mattarella

"Sparerei di nuovo?". La confessione di Massimo Zen, il vigilantes graziato da Mattarella
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Ha ottenuto la grazia da Sergio Mattarella e ora è libero. Massimo Zen, il vigilantes condannato al carcere per aver sparato a un ladro, costretto a risarcire la famiglia e a vivere ben 826 giorni dietro le sbarre, si presenta a Quarta Repubblica per raccontare il suo calvario. Il suo e quello della moglie, obbligata, tra le altre cose, ad andare a trovare il marito lontano da casa dopo il trasferimento a Verona dal più vicino carcere di Padova dove erano presenti troppi detenuti "con legami familiari con la persona deceduta”.

I fatti risalgono al 22 aprile del 2017 quando la guardia giurata colpì a morte un giostraio, Manuel Major, che aveva preso d’assalto un bancomat a Vedelago. Condannato a 9 anni e mezzo di carcere per omicidio volontario nonostante Zen avesse dichiarato di aver sparato per difendersi e il pm avesse chiesto l’assoluzione. Per concedergli la grazia, il Presidente della Repubblica ha tenuto conto sia del parere del Tribunale di Sorveglianza, sia delle sue condizioni di salute, sia del fatto che la famiglia nel frattempo - grazie all’assicurazione del datore di lavoro - era riuscita a risarcire i familiari della vittima.

Zen ha pensato per mesi a quello che è successo. “È morta una persona che non è mai una cosa bella e non è stata voluta, però è successo. Il fatto ha voluto che succedesse”, racconta a Quarta Repubblica. “In quei frangenti non hai il tempo di pensare. O reagisci come puoi, o scappi, o ti nascondi, non c'è il tempo di pensare”. A chi lo definisce “killer” o “giustiziere” preferisce non rispondere. Ma non si aspettava la grazia di Mattarella “perché era già stata chiesta ed era stata rigettata”. “Era l'ultima spiaggia per riuscire a curarsi. Con l'avvocato avevamo state fatte delle richieste di cure per la salute, ma purtroppo non era possibile effettuarle in carcere”. Rifarebbe la stessa cosa, se potesse tornare indietro? La risposta è “nì”. Forse sì, dal punto di vista professionale. Forse no, sapendo a cosa si va incontro.

Tutta questa storia è costata non poco. Non solo in termini di detenzione. La famiglia del malvivente era partita con una richiesta di risarcimento molto alta, intorno a 800mila euro, poi scesi a 500mila con un patteggiamento. Anche per la moglie Franca è stato un inferno. Ora “la mia consapevolezza è decisamente diversa”, ha spiegato a Nicola Porro, perché “vivi ogni giorno come fosse l’ultimo". “Quando passi per questo inferno, ti rendi conto che gli affetti devi curarteli e goderteli ogni giorno. Perché non sai domani cosa succede. Per fortuna siamo stati forti tutti e due.

Se sono sopravvissuta io per far sopravvivere lui è solo grazie alle vicinanze di tutti. Colleghi di lavoro, amici, familiari in primis, l'avvocato, che ogni volta chiamava Massimo. Ricordiamoci che hanno delle chiamate limitate, delle visite limitate in carcere”.

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