«Inaccettabile e inattuabile» è la reazione a caldo del mondo del commercio alla proposta dellassessore alle Attività produttive Franco DAlfonso sulla liberalizzazione degli orari dei negozi la sera e destate. Rispondendo alla polemiche sulla serranda selvaggia di questi giorni, lassessore dalle pagine del Giornale aveva lanciato la sua proposta: nuovi patti sociali con i commercianti e gestori dei locali nel nome del do ut des. La dura legge di mercato. Non potendo obbligare i negozianti a rimanere aperti, infatti, DAlfonso propone uno scambio, concessione per il plateatico o per il dehor in cambio di aperture estive o esenzioni fiscali e vaucher per le sostituzioni del personale. Ma a patto che si rimanga aperti anche ad agosto.
I commercianti non ne vogliono sentire parlare. «Il discorso in teoria è bellissimo, in pratica inaccettabile - spiega Giorgio Montingelli, delegato al territorio dellUnione del commercio - per diversi motivi: intanto veniamo alle aziende a conduzione familiare, dove lavorano genitori e figli o marito e moglie: avranno il diritto di fare le vacanze insieme?». Guai a parlare del plateatico - l«affitto» per loccupazione di suolo pubblico con sedie, tavolini e ombrelloni - come di una concessione di favore. «Il plateatico - tuona Montingelli - costa la bellezza di 100 euro al metro quadro lanno e la concessione è stabilita da un regolamento comunale che per essere modificato deve passare dal consiglio. Forse lassessore non conosce bene le regole... La precedente amministrazione invece - continua - aveva trovato una incentivo che funzionava: contibuto di 1.000 euro per ristrutturare il negozio per chi rimaneva aperto destate».
Ma i commercianti sono contrari anche alla liberalizzazione degli orari, soprattutto nelle fasce serali e notturne: anche qui è la routine a mettersi dintralcio. «I negozi mica possono stare aperti 12 ore al giorno! E come la mettiamo con i dipendenti che non ne vogliono sapere di fare straordinari? - osserva Montingelli -. In periferia si pone anche il problema della sicurezza: come facciamo a impedire che ci siano rapine alle 11 in periferia?» In sostanza: «non si può chiedere ai commercianti di fare un servizio ai cittadini, assumendosene anche i costi».
«Non ci vengano a dire che i milanesi rimasti in città per la crisi vanno a mangiare al ristorante» polemizza Alfredo Zini, vicepresidente di Epam, lassociazione milanese dei pubblici esercizi. «I cittadini rimasti in città hanno poco da spendere, come testimoniano anche i locali sui Navigli, tutti aperti, ma che non mi pare abbiano fatto grandi affari. In giro cerano poche persone». I turisti non vengono in città se sanno che ad agosto è morta? «Il problema è anche cosa fare: ci sono zone che sono completamente abbandonate, come Buenos Aires, Paolo Sarpi, lIsola. Non ci sono eventi né attrattive per i turisti. Questanno il Comune, che non aveva soldi, non ha organizzato nulla, nemmeno i fuochi dartificio». Terzo problema, non indifferente: non tutti sono in grado di avere personale destate. Ma ci sono i vaucher del Comune... «Bene, ma non ci piace questa logica del ricatto - conclude Zini -: mettiamoci attorno a un tavolo a ragionare, ma in nome della collaborazione e della sinergia e non del ricatto».
«Non è vero che le griffe del Quadrilatero sono chiuse per ferie - risponde piccato Mario Boselli, presidente della Camera delle Moda, che poi spiega - Noi questo esperimento labbiamo fatto. Quando Milano si aggiudicò Expo il sindaco ci parlò appunto dellintenzione di avviare un percorso con lobiettivo di avere Milano completamente aperta per lagosto 2015. Ora le boutique chiuse sono una minoranza e se lo sono è perché non ci sono i clienti. Cova è chiuso: ho detto tutto». Non solo, anche le griffe hanno il problema della difficoltà a trovare personale destate: «I clienti che entrano nei negozi di lusso sono molto esigenti, le boutique devono poter dare un servizio allaltezza, se no non se la sentono di aprire.
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