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Al negoziato sul nucleare l’Iran alza la voce

«L’acquisto di combustibile nucleare dall’estero non significa che l’Iran fermerà il processo di arricchimento dell’uranio nel Paese. Se i colloqui non porteranno i risultati che l’Iran auspica cominceremo ad arricchire da soli ancora più uranio». Se a questa dichiarazione di Ali Shirzadian, portavoce dell’agenzia atomica iraniana, si aggiunge l’intenzione di Teheran di escludere colloqui diretti con i rappresentanti francesi in merito alla fornitura di uranio arricchito, si comprende come la riunione a quattro (Iran, Stati Uniti, Russia e Francia) di Vienna sia partita con il piede sbagliato. E questo nonostante al termine della prima giornata dei lavori il direttore generale dell’Agenzia atomica internazionale (Aiea), l’egiziano Mohamed ElBaradei, abbia affermato che «i negoziati hanno avuto un avvio buono e costruttivo», tanto che invece di essere sospesi come qualcuno temeva saranno ripresi questa mattina.
Nella sede viennese dell’Aiea è cominciato ieri quella che sulla carta dovrebbe essere una tappa cruciale del confronto sul programma nucleare iraniano, sul quale come è noto gravano pesanti sospetti di essere in realtà anche destinato alla realizzazione di bombe atomiche. Si discute di un accordo con Washington, Mosca e Parigi per l’arricchimento all’estero dell’uranio per uso civile: lo scopo è cancellare i dubbi che l’attività delle centrifughe in Iran nasconda appunto un obiettivo militare clandestino. Ma ecco che gli inviati di Teheran (tra l’altro non sembra casuale che la delegazione sia composta di figure non di primo piano, a differenza di quelle degli altri tre Paesi) mettono le mani avanti chiarendo che l’esito dei colloqui non deciderà nulla e che l’Iran «non rinuncerà mai» al proprio «diritto di arricchire l’uranio in casa propria».
Un tono di sfida che lascia poco sperare. E che fa comprendere come la dirigenza della Repubblica islamica abbia già cambiato atteggiamento dopo aver evitato l’inasprimento delle sanzioni a suo carico, che parevano inevitabili dopo la scoperta dell’impianto nucleare segreto di Qom, solo grazie alla concessione di ispezioni Aiea in Iran e al via libera ai negoziati per l’arricchimento del suo uranio all’estero. Così come appare chiaro l’intento strumentale e provocatorio nell’escludere incontri diretti con i francesi «inadempienti rispetto agli impegni nucleari assunti in passato», come ha riportato una televisione iraniana. Non solo: ieri Teheran ha annunciato di aver cancellato la Francia dalla lista dei suoi possibili fornitori di uranio arricchito per far funzionare un reattore a scopi medici.
Per non parlare delle minacce rivolte ieri a Stati Uniti, Gran Bretagna, Pakistan e Israele dai vertici dei pasdaran, le Guardie della rivoluzione islamica iraniana colpite domenica da un sanguinoso attentato nella provincia del Sistan-Belucistan. «Dietro l’attentato compiuto da Jundollah si nascondono i servizi segreti inglesi, americani, israeliani e pakistani, contro i quali adotteremo misure di ritorsione perché siano puniti», ha detto il comandante in capo dei Guardiani Mohammad Ali Jafari. E l’ayatollah Ahmad Jannati, segretario del Consiglio dei Guardiani, ha aggiunto che «ormai ci troviamo in guerra, stanno utilizzando tutti gli strumenti possibili per destabilizzare la Repubblica islamica: prima l’organizzazione di insidie interne, dirette da personalità politiche iraniane che hanno tradito i loro princìpi rivoluzionari, poi la diffusione della falsa notizia del decesso della Guida Suprema e adesso l’attacco terroristico. Di fronte a tutto ciò la Repubblica islamica resisterà perché è sostenuta da Dio».
A tutto questo si aggiunge una presunta dichiarazione della Guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei, dato per morto o moribondo nei giorni scorsi da diverse fonti non ufficiali.

Khamenei avrebbe detto che «i terroristi colpevoli dell’attentato contro i pasdaran saranno puniti» e ha puntato il dito contro «i governi arroganti», una formula solitamente usata per indicare gli Stati Uniti.

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