Nei guai l’accusatore di Del Turco I testimoni: «Così ci ha minacciati»

Minacce, ritorsioni, veleni. Per sviscerare l’ennesima, inquietante, puntata della telenovela Del Turco occorre riassumere le puntate precedenti. Dall’inchiesta sull’ex governatore abruzzese, dopo un anno e mezzo, non esce una sola prova di tangenti. Sui conti correnti dei politici locali arrestati e/o indagati dalla Procura di Pescara i pm non hanno rintracciato un euro fuori posto. Così come sembra fare acqua da più parti la confessione dell’imprenditore «gola profonda» Vincenzo Angelini, che nel primo verbale aveva negato categoricamente di aver mai pagato amministratori pubblici, salvo poi ripensarci nell’interrogatorio successivo iniziato con una frase sconvolgente: «Sono qui perché mi è stato garantito che sarei stato compreso...». E ancora. I periti della Procura pescarese, la Guardia di finanza e la Banca d’Italia avevano segnalato gravissime irregolarità contabili - anche all’estero - del gruppo Angelini. I carabinieri del Nas erano arrivati addirittura a chiedere l’arresto del re delle cliniche private, su cui però la Procura di Pescara sorvolò, e su cui invece oggi non sorvola la Procura di Chieti che ha messo sott’inchiesta Vincenzo Angelini per bancarotta, causa un buco da 100 milioni di euro.
All’origine delle informative dei Nas sulle anomalie procedurali, amministrative e finanziarie della disastrata holding sanitaria di Vincenzo Angelini, sui trucchi utilizzati per raddoppiare le cartelle cliniche, decuplicare malati e posti letto, sugli espedienti per incassare rimborsi aggirando i controlli regionali, ci sono le drammatiche confessioni di tre «operativi» del gruppo Angelini che parlano di gravi irregolarità, di ritorsioni e minacce: la manager Giovanna D’Innocenzo e i medici Giuseppe Ciliberto e Francesco Proietti.
Cominciamo dalla D’Innocenzo, la cui collaborazione è servita ai Nas per sollecitare le manette per Angelini. A partire dal 18 marzo 2008 (Del Turco verrà arrestato quattro mesi dopo) la manager racconta a verbale di come si vide costretta a concordare con le pesanti conclusioni del blitz della «commissione ispettiva permanente» della Regione che evidenziava violazioni gravissime sul fronte dei ricoveri, perché le «prove» erano evidenti. «Per aver sottoscritto quella relazione - spiega D’Innocenzo ai carabinieri - il mio operato è stato messo in discussione tanto che ad oggi, anche a seguito di ulteriori divergenze, mi è stata comunicata la sospensione dal lavoro (...). Nell’ufficio da me occupato presso la clinica Villa Pini hanno cambiato addirittura la serratura». Licenziata in tronco, con raccomandata e ricevuta di ritorno. «Sono stata trattata in malo modo dalla famiglia Angelini - aggiunge nel verbale del 29 marzo 2008 - venendo apostrofata in maniera irripetibile. Per questi fatti (...) il dottor Angelini ha a me attribuito la responsabilità (per aver condiviso le osservazione della Commissione) e sono stata trattata nel modo che ho riferito con la lettera di sospensione». Nel successivo interrogatorio del 7 maggio 2008, la D’Innocenzo insiste. Confessa di aver ricevuto minacce dirette («la figlia di Angelini mi riferì che se fosse successo qualcosa che riguardava loro, sicuramente avrebbero tirato in ballo tutti») e di aver saputo direttamente da Angelini che «la Guardia di finanza aveva tutti i nostri telefoni e quelli dell’azienda sotto controllo, per cui mi invitava a stare attenta nelle conversazioni». Se la signora D’Innocenzo si mostra ferrata sui retroscena dell’andazzo della moltiplicazione delle cartelle cliniche per un medesimo paziente, il medico Giuseppe Ciliberto non è da meno. È lui che si sofferma sul «nervosismo» di Angelini, braccato dalla finanza e dai Nas. È lui che va in profondità su come giravano le cose nelle cliniche della “gola profonda” della Procura di Pescara: «Dal 2000 al 2005, tre o quattro cartelle venivano mediamente aperte per ogni paziente - dice il 21 aprile 2008 ai carabinieri che lo ascoltano in caserma -. Dal 2005 invece vi è stata un’impennata aprendo fino a 10-12 cartelle per lo stesso paziente». Tante cartelle, tanti pazienti, tantissimi soldi. «Ho chiara percezione di chi ha gestito l’andamento di queste cose: Angelini Maria Vincenzo». Quando il dottor Ciliberto va da Angelini a chiedere chiarimenti «sull’esagerazione di tale rappresentazione» gli dice in faccia che «in virtù di quei dati» non avrebbe più «provveduto a chiudere ed aprire cartelle cliniche per uno stesso paziente». Quando gli spifferi dell’inchiesta hanno ormai raggiunto cliniche, segreterie politiche e redazioni di giornali, il responsabile dell’unità di terapia intensiva bussa di nuovo ai carabinieri. Vuol precisare che «da due mesi - afferma Ciliberto il 28 aprile 2008 - non ci viene più imposto il cambio di fase, o meglio la chiusura di una cartella clinica e l’apertura di una nuova per lo stesso paziente nella stessa giornata (...)». Un cambio di rotta sospetto. Che coincide con la richiesta di chiarimenti che Ciliberto sottopone a un collega superiore gerarchico a proposito dell’inspiegabile duplicazione delle cartelle: «È una procedura vivamente raccomandata dall’alto», si sente rispondere. Un’ora dopo Angelini lo fa salire in ufficio e gli fa presente che nel caso di una convocazione degli inquirenti lui avrebbe dovuto dare una determinata risposta «che mi lasciava perplesso non trovando alcuna giustificazione». Alla fine del faccia a faccia con il ras della sanità privata, continua Ciliberto, «Angelini mi minacciò apertamente dicendomi che se non avessi sostenuto la sua tesi sarei diventato “carne da macello” o meglio “carne per palle di cannone”. A quel punto la mia risposta fu molto chiara e con pacatezza risposi: finalmente ho capito, mi hai usato come strumento». Anche Ciliberto, secondo Angelini, era da considerarsi un traditore al pari della manager mandata a casa. «Mi accusava di essere in rapporto con la D’Innocenzo, tramando contro di lui e contro la struttura». Sulla stessa lunghezza d’onda dei carabinieri dei Nas il 23 aprile 2008 si sintonizza Francesco Proietti, medico della clinica Villa Pini.

«Come ho potuto rilevare a posteriori si è verificata l’apertura, per lo stesso paziente, anche di dieci cartelle cliniche. Le indicazioni per aprire e chiudere cartelle mi arrivavano direttamente dalla segretaria di Angelini che in alcune occasioni si è dichiarata portatrice delle sue decisioni».

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