Nel cabaret dei tg è servita la zuppa inglese

Perché ogni volta che si parla degli inglesi nei nostri tg bisogna per forza fare gli spiritosi e descriverli come mac­chiette?

Nel cabaret dei tg è servita la zuppa inglese

Ma perché ogni volta che si parla degli inglesi nei nostri tg bisogna per forza fare gli spiritosi e descriverli come mac­chiette? È una vecchia sindrome dei corri­spondenti da Londra, forse risale ai tempi di Sandro Paternostro, o forse per dimen­ticare «la perfida Albione» dei tempi di Mario Appelius. O perché pesa la caricatu­ra alla Sordi o Montesano sugli inglesi, ti­po «Salvatoure Salvatoure che mi piaci a tutte l’oure». Se fossi inglese mi seccherei a vedermi ridotto in cronaca rosa o in cari­catura. Al posto loro direi: ma che avete da ridere su di noi, proprio voi pagliacci italiani?

Quelle corrispondenze danno l’idea di un Paese divertente; e invece i britannici sono in prevalenza pesanti, noiosi, serio­si. Ma nei tgl’Inghilterra è sempre il Paese della stravaganza. Dal cazzeggio reale ver­so Sua Maestà e i principi, ai matrimoni e i gossip sui reali, ai gusti eccentrici degli in­glesi, il servizio da Londra punta alla ricre­azione e non all’informazione. Antonio Caprarica è già ironico di suo, ma in In­ghilterra si aggravò la sua sindrome civet­tuola. Altri lo diventano appena sbarcano in Inghilterra; da Londra Stefano Tura imita Mister Bean, persino il serioso Ma­sotti, con quella voce un po’ sovietica e quella stranissima tonalità con cui recita i suoi pezzi e li conclude, a Londra si era trasformato in uno spiritosone. Il corri­spondente da Londra va sempre in falset­to, sogghigna, imita il gentleman britanni­co e il suo tipico humour, almeno secon­do l’immagine insegnata alla scuola del­l’obbligo. C’è una specie di malattia che prende i nostri corrispondenti, la sindro­me di Zelig o il mimetismo etnico: vanno a Londra e si danno all’humour inglese, vanno a Mosca e assumono fattezze pe­santi, cadenze russe e toni da colbacco e Dostoevskij, con retrogusto da politburo . Da Volcic a Canciani. E così via, come nei giochi di ruolo: si slavizzano, si arabizza­no, si cinesizzano...

Non fanno mai i corri­spondenti italiani all’estero, passano dal­la parte dello straniero.

Nostalgia di Ruggero Orlando che parla­va da «Nuova York» ma dava l’impressio­ne di parlare dal tinello di Sora Lella e salu­tava come se stesse sul balcone di casa.

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