Come nel film di Germi la città rivive lo scandalo

Come il resto dell’Italia, che allora andava molto spesso al cinema, Treviso rise della retriva Sicilia alle prese col desiderio, descritta da Pietro Germi in Divorzio all’italiana e in Sedotta e abbandonata. Com’era mostrata quella Sicilia? Simile a come sarebbe stato descritto l’Afghanistan dei talebani: donne che, alle feste, ballavano solo con altre donne, che uscivano di casa solo con le madri e col velo. E questo quando - nella Teheran dello Scià e di Soraya, che allora riempivano le riviste italiane - nessuno lo faceva più!
Treviso, l’industriale Treviso che nel benessere aveva quasi dimenticato il tremendo bombardamento del 1944, rise molto, molto meno, quando Germi fece un quadretto corrosivo del desiderio nel Veneto in Signore & signori: infatti l’aveva girato proprio a Treviso, che era riconoscibile, sebbene non fosse mai chiamata per nome. Che Signore & signori vincesse il Festival di Cannes del 1966 contribuì al successo del cinema italiano, ma, per i benpensanti, non al buon nome della città. Perché tanta pruderie, quando già una banale formula chimica - quella della pillola - riusciva dove i tomi di Spinoza, Voltaire e Nietzsche avevano fallito, a incrinare cioè la millenaria etica sessuale cristiana?
Perché quella frazione d’Italia del benessere - da tempo stuzzicata dagli echi dei topless sulla spiaggia della Croisette e da vertiginose minigonne sui marciapiedi di Carnaby Street - s’inviperiva per modesti episodi boccacceschi, evocati da un film, sceneggiato per giunta da un veneto come Luciano Vincenzoni? Perché essi avevano un fondamento concreto.
Nei titoli di testa di Signore & signori c’era la solita scritta alla quale il pubblico non fa più caso: «Ogni riferimento a fatti accaduti o persone realmente esistenti è puramente casuale». Una scritta che va letta con ironia: c’è solo perché si capisca l’esatto contrario, che la finzione, cioè, riflette la realtà. Normale: essa supera quasi sempre la fantasia.
In un Veneto non ancora ridotto a espressione geografica (Nord-Est) vigeva poi, più che altrove, il «si fa, ma non si dice»; la libertà sessuale era ancora monopolio delle classi alte e, anche per loro, d’acquisizione recente. Il pudore, qui come altrove, era la ricchezza dei poveri. Non solo: Pietro Aretino, per l’appunto, non era trevigiano. Non lo era Boccaccio, non lo era Lorenzo de’ Medici («Chi vuol esser lieto sia...»). Inoltre rappresentare la licenza - con brio e rabbia, come faceva il socialdemocratico Germi, non con sofferenza e morbosità, come facevano i comunisti Pasolini e Bertolucci - l’esponeva ad accuse di «libertinismo».
Le piccole città come Treviso, si sa, hanno un vantaggio: ci si conosce tutti, dunque ci si sente meno soli. E hanno uno svantaggio: ogni stormir di corna infligge il ridicolo. «Sei cornuta mattina e sera / con Marisa al bar cassiera», scriveva in Signore & signori un anonimo a Nora Ricci, prepotente moglie del bancario Gastone Moschin, invaghitosi di Virna Lisi.
Quarant’anni dopo, il lessico è cambiato con l’Italia: le mogli infedeli sono state promosse a «libere», i mariti cornuti promossi a «intelligenti».

Così a un eccesso repressivo se n’è sostituito uno permissivo, specie in tv. Ma in tutto questo la cronaca trevigiana è restata fedele a se stessa, offrendo ancor oggi spunti che, un tempo, il cronista definiva piccanti.

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