nostro inviato a Londra
Sta a vedere che invece che una parentesi, magari scomoda per molti, finisce che Tony Blair va a interpretare non solo il nuovo ma anche il ruolo del protagonista europeo dei prossimi anni... Ammicca con gusto Graham Watson, già allievo prediletto di David Steel, e oggi numero uno dei liberal-democratici europei a Bruxelles e tra i non molti britannici schierati apertamente per vincolare più strettamente lisola al continente. «Si ricorda - dice - che già qualche tempo fa circolò la voce che Blair, passato il suo mandato di premier a Gordon Brown, avrebbe potuto divenire il primo presidente a lunga scadenza della Ue? Ecco: io credo che lui continui sempre a pensare a questo obiettivo. E penso abbia buone possibilità per riuscirci».
Non si scompone troppo, questo 49enne scozzese (nato nellisola di Beute), figlio di un ufficiale della Royal Navy e di una insegnante, alle accuse di anti-europeismo che vanno piovendo anche in queste ore sullinquilino di Downing Street. Non ce lo vede Blair a cavalcare un semestre per riportare banalmente la Ue a un gigantesco supermarket privo danima. «Lo ha visto cosè venuto a rilevare a Bruxelles davanti al Parlamento europeo alla sua prima uscita da presidente del Consiglio? Io, ha detto, credo nel progetto politico dellEuropa...».
E allora? Parole, parole, parole... in tanti lhanno già inquadrato nel loro mirino perché non si fidano di quanto ha garantito. Lha sentito anche lei, no?
«Be, come liberal-democratico non posso non credergli aprioristicamente, salvo prove contrarie. E comunque non ha soltanto espresso auspici. Ha anche indicato direzioni di marcia per ridirezionare la Ue verso le sfide di oggi e di domani, chiedendo di non guardare più a quanto si faceva ieri. Non è cosa da poco. E non credo non abbia intenzione di muoversi».
Lei è uno dei pochi inglesi decisamente europeisti. Mi spiega perché e come lo è divenuto in un clima che al di qua della Manica definire scettico è forse solo un eufemismo?
«Quando sono nato lImpero britannico era ormai al tramonto e le sfide diventavano difficili da vincere per un Paese solo, anche se con una grande storia alle spalle: sviluppo, emigrazione, fame, clima, criminalità son temi che non si possono affrontare più con risposte semplicemente nazionali. Bisogna essere capaci di comprendere che servono intese tra diversi Paesi e lEuropa di anni fa era un banco di prova importante. Nel 75, già schierato nelle file dei liberali britannici, feci propaganda nel referendum col quale rimanemmo nella Cee. Continuo a essere convinto che il futuro del Regno Unito è in Europa».
Una Europa che però mai come nei giorni scorsi è stata vicina al fallimento. Prima i due referendum costituzionali in Francia e Olanda, poi la lite furibonda sul budget e ora larrivo sulla tolda di comando di Blair che secondo molti, può ridurre al lumicino la prospettiva di maggior coesione...
«Lei crede? Non so. Io mi sono fatto lidea che Blair lo abbia proprio voluto quello scontro con Chirac - proprio nel 190° anniversario di Waterloo - per mostrare allopinione pubblica britannica che lui non cedeva di un centimetro delle condizioni strappate. Ma una volta arrivatoci, a questo punto può levarsi la corazza e indossare i panni del leader europeo. Pronto a rinegoziare il budget, a trovare soluzioni per la costituzione bloccata, a indicare le nuove mete».
Lei gli crede, insomma...
«Penso sia sincero. E poi devo dire che è abilissimo: ha coraggio politico ed è anche un grande comunicatore. Secondo me può riuscire.
... puntando alla prima presidenza a lungo termine?
«Non ne sarei affatto sorpreso».
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