Due anni dopo il terribile terremoto di Haiti mezzo milione di persone, per metà minorenni, vive ancora sotto le tende o in campi provvisori. I morti per colera sono circa settemila. I bambini continuano ad essere vittime di abusi e violenze, i problemi di sicurezza e le speculazioni sui prezzi, a cominciare dal carburante, hanno costretto molte organizzazioni umanitarie a battere in ritirata.
Nonostante il grande impegno umanitario internazionale, comprese quello delle ong italiane, Haiti stenta a risollevarsi. Il 12 gennaio 2010 le scosse hanno ucciso 220mila persone. Due anni dopo il grido d'allarme per Haiti viene lanciato da Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia. «A tutt'oggi 500mila persone - la metà circa bambini - vivono ancora sotto le tende in campi provvisori - spiega Neri -. Si continua a morire a causa del colera, di cui si sono ammalate, dall'esplosione dell'epidemia, 515mila persone, con seimila vittime circa (fino allo scorso novembre nda)». A tutt'oggi su 758 campi e tendopoli non c'è un numero sufficiente di poliziotti haitiani e delle Nazioni Unite in grado di garantire la sicurezza. Anche per questo motivo «centinaia di migliaia di minori sono ancora in situazione di grande vulnerabilità e vittime di abusi e violenze nelle tendopoli o negli slum, così come centinaia di migliaia di persone rimangono senza lavoro» denuncia il responsabile di Save the children, che ha presentato un dossier per ridare speranza a Haiti.
Ogni anno, ancora prima del terremoto, duemila piccoli haitiani finivano sul mercato del sesso a Santo Domingo. Per non parlare della piaga del restavek, che in creolo significa «stai con». In pratica i genitori poveri, che non riescono a mantenere i propri figli, li cedono a famiglie più abbienti. Molti restavek diventano dei veri e propri schiavi domestici. Un altro dramma è quello degli orfanotrofi non sempre in regola, dove sono stati scoperti traffici di bambini destinati alle adozioni. «Le cause del permanere di tanti e gravi problemi a due anni dal terremoto, sono varie - spiega Neri - La ricostruzione procede a rilento. La risposta al terremoto ha dovuto fare i conti non solo con la vastità del disastro, ma con un contesto difficile e dai prezzi elevati per le ong. I costi del carburante e della sicurezza, per esempio, sono enormi, tanto che a due anni dal sisma molte organizzazioni umanitarie hanno chiuso o ridotto le proprie attività».
Gli speculatori si sono messi in moto subito dopo le scosse, facendo lievitare a dismisura i prezzi dei terreni dove avviare la ricostruzione, o impiantare attività che ridiano una speranza a Haiti. «L'attuale governo haitiano si sta impegnando a favore dei bambini e dello sviluppo, ma mancano le competenze necessarie e impiegati qualificati. Di conseguenza molti servizi alla popolazione sono garantiti dalle ong e il trasferimento dei progetti allo Stato è difficile e lungo». La sfida a due anni del terremoto è di aiutare le istituzioni di Haiti ad andare avanti con le proprie gambe «facendosi carico della gestione dei servizi di base, a partire da quelli scolastici e sanitari».
Save the children è in prima linea nella difesa dei più piccoli, ma a Haiti opera ancora la Croce rossa italiana e il cartello delle Ong di casa nostra, Agire, che ha raccolto 21 milioni di euro aiutando 250mila persone e ricostruendo 13 scuole, 2 orfanotrofi e 3 centri sanitari.
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