Roma - La notizia era nell’aria già da qualche giorno. E dopo aver incassato la botta dell’apertura di un’indagine della Procura di Roma su Vincenzo Visco, con l’ipotesi accusatoria di tentato abuso d’ufficio e minacce, il governo e l’Unione si trovano a dover fronteggiare una nuova coda avvelenata del caso Speciale.
La querela annunciata dall’ex comandante della Guardia di finanza contro Prodi e Padoa-Schioppa «non preoccupa» il governo, assicura il portavoce del premier Silvio Sircana. Che ieri ha ritenuto necessario prendere una posizione pubblica sulla vicenda, attraverso un’intervista a Sky Tg24. «Affronteremo la querela senza patemi», afferma l’uomo di Palazzo Chigi. Che aggiunge: «Al di là della singolarità dell’atto, sulla sua liceità valuterà la magistratura della quale come sempre noi ci fidiamo, apprezzandone la neutralità del lavoro». Secondo Sircana, però «la questione sta salendo un po’ troppo sopra le righe». Certo, «la mossa di Speciale come singolo individuo è una mossa legittima, che ogni cittadino può intraprendere». Ma «stupisce che abbia bisogno di un portavoce, nella persona del senatore De Gregorio», del quale vengono ricordati i «salti» da uno schieramento all’altro.
Un modo per connotare politicamente come proveniente dalla destra l’attacco che, attraverso la querela, il generale muove al premier e al ministro dell’Economia. Un attacco che, se la querela non venisse giudicata manifestamente infondata, potrebbe portare a un avviso di garanzia per Prodi e Padoa-Schioppa. Di certo, anche se il governo assicura di non essere «preoccupato», a Palazzo Chigi si guarda con crescente disagio a una vicenda che già molte volte si è pensato di aver politicamente chiuso, e che invece continua a complicarsi. «Tutto questo polverone non fa bene a nessuno», sospirano gli uomini più vicini al premier.
Una cosa, nella maggioranza, ripetono tutti: la querela di Speciale potrà certo alimentare il «polverone», ma non è destinata a cambiare la situazione: Visco resta al suo posto, fino a conclusione dell’indagine a suo carico. Anche perché, fa notare più di un esponente dell’Unione, l’ultima iniziativa di Speciale finisce per «blindare» il viceministro: se prima nella maggioranza c’era un diffuso disagio, molte prese di distanza e un po’ di «fastidio» anche dalle parti di Palazzo Chigi, dove il premier si era visto piombare sul tavolo la notizia che Visco era indagato proprio nel giorno della presentazione del Dpef, la chiamata «in correità» di Prodi e Padoa-Schioppa costringe tutta l’Unione a fare quadrato attorno al governo. Tanto che anche il ministro Di Pietro, da sempre assai critico su una vicenda che «ha inferto ferite alla credibilità del governo e delle istituzioni», mette le mani avanti: «Non ci faremo strumentalizzare dal centrodestra, non faremo la testa d’ariete per loro», assicura. Certo, «io sono d’accordo con il principio che chi è indagato si deve dimettere», ma la richiesta in questo senso dell’opposizione è troppo «strumentale» per essere rilanciata. Anzi, Di Pietro ribalta le accuse contro Casini e l’Udc: «Comincino Cesa e Cuffaro a dimettersi, che mi pare abbiano qualche problema». Quindi «anche se non condividiamo il comportamento di Visco, decideremo con la nostra testa, cammin facendo».
Se l’indagine contro Visco venisse archiviata, come assicura il suo legale e senatore della Quercia Guido Calvi, il caso si chiuderà e il viceministro «potrà anche legittimamente reclamare la restituzione delle deleghe», come nota il verde Paolo Cento, sottosegretario all’Economia. Se però ci fosse un rinvio a giudizio, la situazione esploderebbe: «In quel caso Visco dovrebbe trarne le conseguenze», dice Cesare Salvi.
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