Nel lessico di Repubblica unica parola è Berlusconi

Repubblica ha deciso di deliziare i suoi colti lettori con un viaggio nel mondo del linguaggio. Scopo dichiarato fissare una sorta di "canone" composto da parole indispensabili per capire il mondo d’oggi

Nel lessico di Repubblica 
unica parola è Berlusconi

Repubblica ha deciso di deliziare i suoi colti lettori con un viaggio nel mondo del linguaggio. Scopo dichiarato fissare una sorta di «canone» (non ce ne voglia Harold Bloom) composto da parole indispensabili per capire il mondo d’oggi e, perché no, quello futuro. Questo dotto percorso gnostico-tassonomico, a titolo Il lessico necessario, è iniziato ieri con un’intervista di Franco Marcoaldi al professor Carlo Ginzburg: un vero guru della storia sociale che con alcuni dei suoi libri, come I Benandanti e Il formaggio e i vermi, ha creato le basi per lo studio della storia delle mentalità, e della cultura popolare, nel nostro Paese. E da cotanto cervellone impegnato in tanto sforzo classificatorio ci si immaginerebbe chissà quali sottili e folgoranti disquisizioni.
Beh, invece, la scelta lessicologica di Ginzburg si limita a poche apocalittiche paroline, adatte a compiacere qualunque sincero democratico: distanza, vergogna, terrore, avvocato del diavolo... Le migliori, secondo lui, per descrivere un presente di indubbie nequizie e un inevitabile futuro di sciagure. Ed è proprio sul senso della parola «vergogna» che Ginzburg riesce a dar vita a una spiegazione che se non fossimo sulle pagine di Repubblica potrebbe lasciar attonito qualsiasi lettore: «“Vergogna”. Le faccio un esempio: io mi vergogno di Berlusconi, non per Berlusconi. È una distinzione importante. Perché qui si tocca la nozione di individuo, che io definirei il punto di intersezione di una serie di insiemi... Il fatto è che Berlusconi ci riguarda, e ci si vergogna anche di cose di cui non si è responsabili». Per, di, nozione di individuo, serie di insiemi?
Non è che ci si capisca molto. L’importante però è vergognarsi di Berlusconi. Si poteva fare un esempio vergognandosi di Hitler, di Stalin, di Pol Pot, di Unabomber o di Bin Laden. Ma no, sarebbe stato un articolo buttato senza metterci la parola Berlusconi. Perché in questo caso la vera «genialità» di Ginzburg è stata nell’intuire che nel lessico necessario di Repubblica c’è una sola parola: Berlusconi. Possibilmente da associare a insulti e a visioni apocalittiche. Per Repubblica il presente è Berlusconi, il futuro è Berlusconi. Senza Berlusconi gli articoli si riducono, più o meno, a un chiacchiericcio noiosamente radical-chic, buono per conciliare il sonno. E così per evitare che il lettore si metta a fare un pisolino anche al duo Marcoaldi-Ginzburg non resta che aggrapparsi al «dagli al Berlusca».


Ma allora, facendo noi gli avvocati del diavolo, ci viene da fare una domanda, sperando non se ne abbia a male l’autorevole Ginzburg. Non è che il formaggio (la cultura di sinistra) è finito da un pezzo e sono rimasti solo i vermi?

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