Convegno Ambrosetti, edizione numero 37, in quel di Cernobbio. Ieri oggi e domani, alla Villa d’Este, sfilano banchieri, finanzieri e manager dell’Italia più in crisi, cioè quella dei mercati. E si confrontano con la politica, fattasi sempre più piccina e mai come quest’anno sul banco degli imputati: si vedrà domani, quando un pezzo di governo (da Gelmini a Frattini, da Maroni a Tremonti), si trasferirà qui per misurare la propria popolarità dalle parti dei poteri forti. Perché Cernobbio, nel primo weekend di settembre, è soprattutto questo: un’agenda per l’anno che verrà, proposta dalla classe dirigente italiana da sempre più europeista e non necessariamente filo governativa.
Era così nelle intenzioni delle prime edizioni quasi carbonare della seconda metà degli anni Settanta, quando Alfredo Ambrosetti ebbe l’idea di un workshop di alto livello insieme con Umberto Colombo e Beniamino Andreatta; lo fu ancora di più negli anni d’oro Novanta, quando il protagonista assoluto era Gianni Agnelli e i media cominciarono a strabordare; lo è rimasto anche nelle edizioni più recenti, ancorché lo scorso anno l’allora presidente delle Generali, Cesare Geronzi, ne criticò pubblicamente l’utilità, contrapponendolo al meeting di Cl a guisa di un conciliabolo dell’establishment bancario e finanziario per lo più antiberlusconiano.
E così quest’anno, con la crisi che morde i garretti alle banche e alle tasche degli italiani, il Workshop Ambrosetti non fa sconti. Prendendo facilmente la forma di un laboratorio (ancorché salottiero) dell’antipolitica, ispirato più che mai da grandi poteri (ed interessi) dell’Europa di Bruxelles. Sia ben chiaro: non è mai stato l’intento dei suoi ideatori quello di «far» politica a Cernobbio a fine estate. Ma ieri il coro di banchieri, accademici e manager della grande finanza suonava sufficientemente omogeneo da apparire assai critico verso questo governo. E non c’è bisogno di scomodare Nouriel Roubini, star di prima grandezza da quando ha predetto la crisi nel 2007, che già dalle pagine di Repubblica di ieri dettava la via d’uscita dalla crisi, chiedendo per l’Italia un nuovo governo, senza il quale l’Europa ci lascerà affondare. Restando a casa nostra, spiccava Mario Monti (ex commissario Ue e «cernobbiano» della prima ora, nonché candidato ombra di un possibile governo tecnico) che chiede un «comportamento responsabile che non alimenti, come purtroppo sta avvenendo in questi giorni, un ritorno di sospetti di fondo di alcuni Paesi europei circa la serietà del nostro Paese».
Mentre i presidenti della Telecom Franco Bernabé e delle Generali Gabriele Galateri, perfettamente allineati, denunciano «l’indecisione e l’attesa» sulla manovra, quando invece i mercati «hanno bisogno di certezze e non di continui cambiamenti». Infine, senza eccezioni, il grande incoraggiamento per Alessandro Profumo, la cui ipotesi di discesa nell’agone della politica ha galvanizzato l’intera brigata di Villa d’Este.
Il tutto in uno scenario reso subito cupo dal televoto dei 200 partecipanti al Workshop, che in maggioranza (42,1) hanno previsto una seconda recessione contro il 37% dei più ottimisti (il resto ha risposto «non so»); il 49% si è detto sicuro che l’euro non potrà restare così com’è (contro il 43,3%). Previsioni orientate, dunque, al pessimismo. Che di quest’edizione, almeno nella sua prima giornata, sembra essere lo spirito dominante.
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