Nella gang che picchiò il cinese c’è anche un figlio di immigrati

Il caso del 36enne pestato a sangue ha fatto scatenare Veltroni contro il governo. Poi la scoperta: uno degli aggressori è arabo, un altro ha la fidanzata di origini africane

da Roma

«Sporco cinese, che cosa vuoi?». L’insulto «etnico» tradisce un movente razziale, le botte al povero 36enne che parla a stento l’italiano seguono a ruota, le polemiche politiche, a quel punto, si accodano inevitabili.
Il pestaggio da parte di un gruppo di adolescenti del 36enne cinese Tong Hong Shen, malmenato giovedì scorso alla fermata dell’autobus di Tor Bella Monaca, borgata capitolina in tutti i sensi periferica, diventa l’ennesimo caso di «violenza razzista». E un’aggressione intollerabile finisce per essere la cartina di tornasole di una crescente intolleranza contro gli stranieri.
Non un segno del disagio sociale di pezzi di città troppo a lungo dimenticati, dunque, ma piuttosto la prova di una destra xenofoba che rialza la testa complice, ovviamente, il presunto clima «non ostile» del governo nazionale (come si è affrettato a dichiarare Veltroni) e di quello cittadino. E le accuse, nemmeno troppo velate, alle responsabilità del «clima capitolino» non si placano con la visita del sindaco, Gianni Alemanno, al capezzale della vittima, per assicurare che sarà fatta giustizia e per promettere al giovane cinese un aiuto a trovare lavoro non appena sarà dimesso. L’idea della città insofferente al diverso resta lì, più o meno esplicitata.
Poi, però, saltano fuori strane verità che rendono il quadretto della storiaccia di intolleranza di borgata un po’ meno facile da etichettare come rigurgito razzista puro e semplice.
Come il fatto che nel gruppo dei quattro ragazzotti accanto a Eros, Carlo Alberto e Alessio c’è anche Kader. Anche lui di «Torbella» come gli amici autori del pestaggio, ma non proprio il prototipo del naziskin, visto che i suoi genitori sono arabi. Venuti in Italia anni fa, hanno vissuto sulla propria pelle i problemi dell’integrazione, hanno dato alla luce un figlio nel Paese che li ha accolti e ora, naturalmente, fanno molta fatica a credere che quel ragazzo possa essere invischiato in una vicenda che odora di xenofobia. Eppure, secondo gli investigatori, c’era anche lui nella banda di bulli che ha pestato a sangue Tong spedendolo in ospedale. Amico arabo tra amici presunti intolleranti: che l’ultima frontiera del razzismo sia la trasversalità?
In fondo le sorprese non finiscono con Kader, perché anche Eros, un altro ragazzino della gang, mostra di possedere pregiudizi a geometria variabile. La sua ragazza, poco più di una bambina, è sconvolta, giura sull’innocenza del fidanzatino, assicura di essere certa che con quel pestaggio lui non c’entri niente, e tantomeno che possa aver alzato le mani per pestare un «diverso».

E poi rivela quello che la sua pelle scura lascia intuire: sua madre è eritrea, il papà italiano. Anche per lei immaginare che il ragazzo che l’ha scelta sia capace di un’aggressione razzista sembra difficile da mandare giù. E infatti non ci crede.

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