Nella nostra giustizia il primo grado è quasi tempo perso

Caro Granzotto, sappiamo, guardando i telefilm americani, che negli States non si può processare una persona due volte per lo stesso reato, a meno che non emergano nuove prove, con metodi di giudizio che si basano essenzialmente su precedenti sentenze che fanno legge a tutti gli effetti. Questa snellezza mette in risalto il farraginoso sistema italiano imperniato su tre sistemi giudicanti, basati sul principio dell’interpretazione personalissima della legge, che comporta eclatanti (in apparenza) e contrastanti sentenze, la cui diversità è basata su particolari bizantinismi... (dare del «buffone» si può in politica, ma non in ufficio. Si può essere terrorista se si è un «liberatore». Si può palpare una donna se non c’è «libido»...) In pratica, la primaria necessità di iper-garantire la giustizia si tramuta in un mostruoso meccanismo in balìa degli umori dell’apparato giudicante, nel miscuglio di carriere tra inquisitori e giudicanti, diviso ancor più dal devastante sindacalismo politico. La riprova «provata» (senza entrare nel merito della questione) è la sentenza d’appello per i fatti del G8 di Genova che ribalta completamente il primo risultato, senza - questa è la mostruosità concettuale - nuove prove, altri dibattimenti, ulteriori accertamenti: il tutto è stato ribaltato esclusivamente sulla sensazione epidermica da parte dei nuovi giudicanti. Tutto ciò è ammissibile in uno Stato di diritto?
e- mail

Il semplice buon senso porterebbe a escluderlo, caro Pepe. Purtroppo nel nostro sistema giudiziario il buon senso non solo latita, ma viene ritenuto pernicioso e deviante. Traducendosi in un processo alla Corte della quale il Pm fa parte, la facoltà dell’accusa di ricorrere in appello ove la sentenza di primo grado non dovesse soddisfarla ha risvolti poco edificanti per la giustizia. Questo infatti succede: la corte d’Appello è chiamata a giudicare l’operato di quella di prima istanza e se, come nel caso del processo per i fatti di Genova, ribalta la sentenza senza che siano intervenuti nuovi fatti processuali sancisce che i colleghi magistrati sono degli incompetenti, non sanno fare il proprio mestiere e anzi, proprio loro, chiamati a rendere giustizia, hanno invece commesso un arbitrio non sapendo interpretare o interpretando in modo distorto i fatti processuali. Quelli di prima istanza risultano quindi dei giudici «in prova» che emettono, eppure in nome del popolo italiano, sentenze soggette a verifiche, a giudizio di legittimità. Verrebbe da dire: saltiamo allora il primo turno e si passi subito al secondo, visto che è quello che conta. Si risparmierebbe in tempo e in danaro.
Il danaro. Negli Stati Uniti i giudici federali (che diventano tali non per concorso o per automatici scatti di carriera, ma per curriculum professionale e dunque per somma di esperienze) tengono molto al denaro dei contribuenti e quindi ai costi della giustizia anteponendo, nella procedura, tutto ciò che possa accelerarne il corso e di conseguenza ridurne la spesa. Una delle ragioni per cui l’appello è così poco praticato dal sistema giudiziario americano è anche questa, il ritenerlo quasi sempre una perdita di tempo e uno spreco di risorse.

Essendo estranee al loro modo di intendere la giustizia sia le reinterpretazioni dei fatti passati in giudicato, sia le riletture creative della sentenza, riponendo piena fiducia nella competenza (e correttezza) del giudice di prima istanza nelle questioni di diritto e nella sincera ragionevolezza della giuria popolare nelle questioni di fatto, i giudici del Tribunale del ricorso confermano infatti - e immancabilmente - il verdetto. Contribuendo così a riaffermare quella certezza del diritto che per noi resta una chimera.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica