Nella «Repubblica delle donne» governa Pierino

Non è detto che la fortuna di un programma dipenda dalla sua collocazione. Anzi, talvolta la logica va forzata, tocca prendersi dei rischi, altrimenti ci saremmo persi pezzi di storia della tv, soprattutto nel settore dell'intrattenimento. Sembrerebbe dunque azzardata la programmazione di Piero Chiambretti e La repubblica delle donne in prima serata su Rete 4. L'anchor-man torinese discende da quella televisione comica e intelligente che ha avuto in Arbore e Boncompagni i picchi assoluti, i cui prodotti erano pensati per un pubblico di nicchia disperso nelle fasce più tarde, al limite della notte. Andare in onda per due ore di fila, il mercoledì, tra le 21 e oltre le 23, è un indubbio rischio, ma non tutto si misura a colpi di share. La qualità de La repubblica delle donne è buona, il ritmo anche, funziona l'alternanza tra personaggi famosi, temi di attualità e puro cazzeggio di cui «Pierino» è comprovato maestro.

Ciò che mi è sempre piaciuto del mio concittadino (ci divide il tifo calcistico, ma non importa) è la sua perfidia nel ricorrere a materiali circensi, con una spiccata predilezione per i freaks, i tipi strani, bizzarri, bislacchi, esibizionisti. Chiambretti adora le storie al limite, dove il limite sta però nel grottesco e non nel drammatico, è un ottimo intervistatore che, da educatissimo sabaudo, usa sempre il lei perché il distacco consente di sferrare stoccate di fioretto niente male.

La prima puntata del 31 ottobre è stata animata dal «recupero» di Amanda Lear, al cui cospetto trema il mondo #metoo con le sue ovvietà. Vanesia, burlona, impietosa, ancora ambigua nonostante l'età che non dichiara, Amanda ripercorre volentieri il «best of» dei suoi amanti, fregandosene dei luoghi comuni. Un mito. Dalla storia alla cronaca, abbastanza prevedibili gli interventi di Alessandra Mussolini (niente da fare, il suo stile strapaesano, il suo gesticolare mi urtano oltre modo, la diatriba con Barbara Alberti era sempre sugli stessi temi), e quasi narcotizzato Alfonso Signorini, di solito più caustico e spietato con le sue vittime. Giganteggia, anche per dimensioni, la straordinaria Iva Zanicchi, occhi bistrati come la strega di Halloween. Un plauso va al collega Francesco Bonami, critico d'arte che fu tra i più importanti al mondo ma che insegue la tv di varietà più di una qualsiasi Biennale.

Sono anni che il curatore fiorentino fa la corsa su Sgarbi e Daverio, divulgatori dell'arte sul piccolo schermo, e nei pochi minuti che Chiambretti gli mette a disposizione, oltre ad affrontare con coscienza il tema proposto, Bonami gioca un ruolo lunare, alla Buster Keaton, piuttosto riuscito.

Insomma, alla fine la tanto bistrattata tv resta pur sempre il posto dove tutti vorrebbero andare. Meglio se in prima serata.

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